Corriere 16.9.18
L’italia e la sua storia
L’identità esiste (ma a sinistra c’è chi dice di no)
di Ernesto Galli della Loggia
Ogni
volta che decide di suicidarsi la Sinistra sa che può sempre contare su
chi è pronto ad aiutarla a infilare il colpo in canna: sono gli
intellettuali della sua parte. I quali a propria volta sanno che
qualunque cosa dicano o facciano possono sempre contare sul masochistico
silenzio della loro vittima. È questa la prima riflessione che viene
alla mente leggendo il lungo articolo di Tomaso Montanari «L’identità
inventata degli italiani» ( Il Fatto , 10 settembre).
E subito
dopo non si può non pensare che su certe materie in Italia ogni
discussione è impossibile dal momento che invece di sforzarsi di capire
le ragioni dell’altro ognuno ripete le proprie come un mantra per il
pubblico degli aficionados.
La tesi di Montanari è perfettamente
espressa dal titolo dell’articolo: l’identità italiana non esiste. Lo
stesso termine identità è a suo avviso un termine maledetto, servendo
solo ad alimentare «il veleno della retorica identitaria» e quindi a
giustificare il «noi» contro «loro», le dottrine del «respingimento», «i
campi di concentramento in Libia», lo «straniero come nemico» nonché
ovviamente «i paradigmi culturali (…) connessi ai fantasmi del
nazionalismo nazifascista», il «prima gli italiani» e via così
sermoneggiando. Tutte infamie imputabili per l’appunto al famigerato
concetto di identità.
Peccato che per cercare di aver ragione
l’autore ricorra a un espediente alquanto indegno del suo rango
intellettuale: quello di fabbricarsi un avversario di comodo da poter
facilmente stendere al tappeto. Se identità, egli scrive infatti,
significa «uguaglianza assoluta, corrispondenza esatta e perfetta»,
ebbene, conclude trionfante, allora «bisogna dire con chiarezza: no,
questa identità italiana non esiste». Già: il punto è che a mia
conoscenza non vi è mai stato nessuno così idiota (meno che meno
qualcuno con un minimo di studi alle spalle) che abbia sostenuto
l’esistenza di un’identità italiana nel significato che alla parola
identità attribuisce Montanari. Quando si parla d’identità italiana
s’intende infatti quel significato della parola per cui ad esempio si
parla di «carta d’identità»: e cioè, come attesta qualsiasi buon
vocabolario (cito dallo Zingarelli): la «qualificazione di una persona,
di un luogo, di una cosa per cui essa è tale e non altra». Identità
italiana significa insomma che la nostra Penisola presenta un insieme di
caratteri che complessivamente presi sono solo suoi e non di altri
luoghi della terra. Non significa affatto che in Italia tutto è
monotonamente eguale a se stesso, che tutto è identico.
***
Avendo
furbescamente stabilito che invece si tratta proprio di ciò il nostro
autore ha facile gioco a farsi beffa di una simile castroneria. Non lo
sanno forse tutti, infatti, che gli italiani sono il frutto di mille
incroci di popoli diversi dalle Alpi alla Sicilia? Che la cultura
italiana è sempre stata multiforme e multanime? Che non esiste neppure
una cucina italiana? Tutte cose vere che però non dimostrano nulla.
Certo, gli italiani — come del resto quasi tutti i popoli d’Europa —
sono dei sanguemisto, ma fino a prova contraria solo qui e non altrove,
solo in questo spazio geografico, Normanni e Bizantini, Arabi ed Ebrei,
Greci e Longobardi, Latini e Franchi, le loro lingue e le loro culture
hanno avuto modo di mischiarsi e incrociarsi in una maniera così
peculiare. Egualmente solo nella Penisola sono nate una miriade di
prestigiosissime produzioni letterarie guarda caso scritte tutte in una
sola lingua, l’italiano: anche se naturalmente con prospettive e
contenuti tra loro diversissimi (come se poi la cultura di Monaco fosse
mai stata la stessa di quella di Berlino o a Marsiglia si parlasse la
stessa lingua di Parigi). Sta di fatto che nessuna persona sensata
definirebbe mai Primo Levi o Giorgio Bassani come degli scrittori ebrei:
sono stati due grandi scrittori italiani e basta. Quanto alla cucina è
certo innegabile la straordinaria varietà delle cucine locali di questo
Paese, ma conosce Montanari un altro luogo nel mondo dove si mangia
dappertutto la pasta come da noi? dove si adoperano tanto le verdure
come sui nostri fornelli?
Qui insomma non si tratta di stabilire
l’esistenza di un identico bensì di un unicum . Non si tratta di
affermare una qualunque purezza — come invece tenta continuamente di
insinuare Montanari per poter vestire i comodi panni del Catone
antirazzista — bensì di mettere a fuoco una singolare complessità. Non
si tratta di biologia, insomma, si tratta di storia. L’identità è un
fatto storico, il frutto di una storia. Per questo essa è unica e
irripetibile: perché tale è ogni storia. Sicché proprio da un punto di
vista storico mi sembra velleitario, ad esempio, il tentativo di
Montanari di contestare la centralità che nell’identità italiana hanno
le sue «radici cristiane», e di farlo portando come prova decisiva
null’altro che una frase contro le patrie di don Milani. Allora è solo
una caso, mi chiedo, è solo un caso, che so, lo sterminato numero di
chiese presenti nella Penisola? È solo un caso se fino a ieri il nome
femminile più diffuso fosse Maria? È solo un accidente insignificante la
presenza a Roma della Santa Sede?
***
La denunciata
«mancanza di un’identità unitaria» non vuol dire affatto la mancanza di
un’identità (e magari anche di un’identità fortissima). Se ciò fosse
vero, del resto, nessun Paese almeno in Europa ne potrebbe allora
vantare una, dal momento che né Spagna né Francia né Germania, tanto per
citarne qualcuno, possiedono certo un’identità molto meno variegata di
quella italiana. Non solo, ma resterebbe inoltre da spiegare un non
piccolo mistero storico che mi piace porre in una forma adeguatamente
retorica e tale da suscitare, immagino, il sano disgusto di Montanari:
che cosa dobbiamo pensare delle migliaia di donne e uomini che negli
ultimi due secoli si sono fatti ammazzare sui campi di battaglia, sulle
forche e dai plotoni d’esecuzione gridando «Viva l’Italia»? Che cosa
sono state? Vittime di un inganno, di un’illusione di «un’idea di
nazione chiusa e guerresca», «di un bieco nazionalismo»? Di che cosa?
***
In
realtà ciò che a Montanari veramente interessa in questa discussione è
adoperare la storia, il passato dell’Italia, per un fine esclusivamente e
schiettamente politico: e cioè sostenere la necessità della porta
aperta nei confronti degli immigrati, dal momento che come scrive «tutti
siamo provvisori, migranti e stranieri», che «il nostro noi si è
formato grazie ad una somma di “loro” accolti e fusi in questa terra» , e
che dunque «l’Italia è sempre stata multietnica e dunque
multiculturale». Affermazioni che contengono però una serie di forzature
un po’ troppo disinvolte, che specialmente uno studioso dovrebbe avere
qualche ritegno a permettersi. I popoli che Montanari descrive ad
esempio come «accolti e fusi in questa terra» nel corso dei secoli lo
furono sì, ma dopo invasioni, guerre, soprusi e miserie devastanti che
spesso durarono molto a lungo: il che non mi sembra un particolare
irrilevante. Parlare poi di Enea, per fare un altro esempio, come di «un
rifugiato, richiedente asilo e migrante troiano» significa, a parte la
ridicolaggine del lessico, falsare anche la realtà di un mito che,
almeno nella versione virgiliana, lungi dal consegnarci una simile
immagine idilliaca ci parla invece di guerre feroci che sarebbero state
scatenate proprio dall’arrivo di Enea sulle coste del Lazio. A volerlo
prendere sul serio un precedente per nulla rassicurante, si dovrà
ammettere.
Alla fine comunque, fatta piazza pulita di una parte
della storia e manipolatane il resto, la strada è aperta perché il
nostro autore possa proclamare quale unica identità italiana possibile
quella di un «patriottismo costituzionale ispirato da una costituzione
cosmopolitica come quella che avrebbe potuto darsi l’Unione europea». E
così la Sinistra è servita: se lo desidera ha la ricetta perfetta per
assaporare il bis della catastrofe elettorale del 4 marzo.