il manifesto 16.9.18
Una rivoluzione costituzionale per uscire dalla barbarie
Sinistra.
Denunciare e opporsi al nuovo non serve a granché, perché sono i nostri
valori a essere stati traditi e abbandonati, non quelli degli altri. Le
cause della crisi sono in noi. Per chi crede ancora nella democrazia
costituzionale come orizzonte del possibile cambiamento è dal suo
appannamento che deve ripartire
di Gaetano Azzariti
Ciò
che ci fa sentire veramente a disagio non è tanto il comportamento dei
nostri avversari, quanto quello dei nostri amici, che non muovono un
dito per far mutare la situazione. Mentre si poteva essere preparati per
affrontare una difficile fase di opposizione per cercare di ricostruire
un diverso orizzonte culturale e politico, ciò che effettivamente ha
finito per spiazzarci è l’assoluta incapacità di coloro che ci sono più
vicini di contrapporre un proprio giudizio a quello dei governanti,
folgorati dal successo dei nuovi vincitori. Né può rappresentare
un’attenuante la dimensione della sconfitta.
Certo che è dalla
“disfatta” che bisogna partire, ma per rendere esplicita l’urgenza di
riesaminare da capo le cose, senza poter invece continuare a limitare i
danni, poiché essi si sono già tutti prodotti. L’unica giustificazione
possibile, in caso, è che in tempi di crisi la mente dell’uomo vacilla,
ma proprio per questo diventa necessario fermarsi per riflettere. La
ricerca di capri espiatori ovvero le tecniche di riduzione del danno non
possono che prolungare l’agonia. Non è più il tempo dell’opportunismo
per la sopravvivenza, è arrivato semmai il momento del coraggio, alla
ricerca delle “ragioni profonde” – quelle meno visibili, ma veramente
fondamentali – che hanno prodotto le miserie del presente. Certo,
sarebbe più comodo dare la colpa al cinico destino, alla malvagità degli
altri. Ci si potrebbe rifugiare nella neutralità dell’analisi che si
limita a rilevare gli effetti e mai le cause. Ma a che servirebbe?
Limitarsi a constatare – per poi maledire – i populismi, le loro
disinvolte politiche sociali, la feroce carica antisistema che viene
così fomentata e che si traduce in una complessiva delegittimazione
delle istituzioni democratiche non riuscirà ad arrestare il declino.
Denunciare ed opporsi al nuovo non serve a granché, perché sono i nostri
valori ad essere stati traditi e poi abbandonati, non quelli degli
altri.
Le cause della crisi sono in noi. I problemi di oggi sono
causati dallo stallo in cui versano le istituzioni costruite per dare
sostanza alla democrazia costituzionale.
E allora, c’è solo un
modo per non tradire le nostre origini e rimanere fedeli ai nostri
ideali di solidarietà e fratellanza, di libertà ed eguaglianza, oggi
stravolti e raggirati: dobbiamo comprendere le ragioni dalla spaventosa
distanza che ci divide ormai dai nostri inizi, chiederci quali siano i
motivi che hanno portato gran parte dell’umanità a rivoltarsi contro le
istituzioni democratiche. Con coraggio dobbiamo domandarci perché oggi
non si voglia più essere liberi ed eguali, scopriremmo così che non
basta semplicemente affermare questi valori, ma ormai è necessario
risignificarli. Entro un quadro storico mutato e refrattario ad essi.
Potremmo
scoprire così che le attuali fragilità della democrazia sono il frutto
più delle nostre debolezze che della forza degli altri. Sul piano
sociale, solo per fare un esempio, non è il rifiuto del diritto alla
salute che ha portato alla privatizzazione della sanità, bensì il
collasso del sistema pubblico non più in grado di “tutelare la salute
come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”
(così l’articolo 32 cost.). O ancora: nessuno in via di principio nega
il diritto allo studio e la libertà della ricerca scientifica (articoli
33 e 34 cost.), di fatto però tanto l’uno quanto l’altra hanno dato
pessima prova di sé, con una progressiva e apparentemente inarrestabile
dequalificazione tanto dell’istruzione pubblica, quanto delle
istituzioni universitarie. Potrei proseguire constatando l’enorme
distanza che passa tra molti altri valori, tutti enunciati dalla
costituzione, e la realtà in cui siamo precipitati. All’origine della
sconfitta non c’è dunque l’improvviso emergere di un mondo che
proditoriamente ha imposto i suoi disvalori, bensì al contrario la
perdita progressiva del nostro orizzonte. Gli altri, letteralmente
“nuovi barbari”, sono apparsi al tramonto e si sono potuti insediare
nelle nostre città oramai desertificate. Una vittoria facile, ma che
“noi” non abbiamo neppure provato a contrastare (semmai a volte vi
abbiamo contribuito). È ora di tornare con i piedi per terra e cercare
di riprendere un nuovo cammino, se si vogliono riconquistare le città
perdute.
Per chi crede ancora nella democrazia costituzionale come
orizzonte del possibile cambiamento è dal suo appannamento che deve
ripartire. È lì l’origine della crisi, lì sono depositati tutti gli
interrogativi irrisolti dalla storia recente. Deve essere anche chiarito
che andare alla ricerca delle ragioni di fondo per comprendere quanto
sta accadendo non vuol dire solo “tornare alla costituzione”, ma
soprattutto, con maggiore radicalità, provare a realizzare la
“rivoluzione promessa” dalla costituzione. Dovremmo poi immediatamente
aggiungere con onestà che la soluzione non è a portata di mano. Perché
una rivoluzione costituzionale (nel senso appena richiamato) comporta la
necessità di tornare a riflettere sui fondamenti della nostra civiltà,
abbandonando in tal modo il chiacchiericcio dominante, ma non dando
nulla per scontato, neppure le nostre poche residue certezze. Un
percorso accidentato che ci porterebbe a “pensare” di nuovo al senso da
dare ai diritti fondamentali che si sono via via smaterializzati. Una
lunga marcia che potrebbe non avere un riscontro immediato, ma che
darebbe una prospettiva a chi oggi non ne vede alcuna. E poi,
finalmente, ci permetterebbe di guardare oltre le miserie del presente,
lasciando apertamente la responsabilità del governo del regresso alla
classe dirigente attualmente egemone e da tempo al potere, candidandoci a
costruire un diverso e più degno modello di società civile. In nessun
caso vinceremo le prossime elezioni, ma almeno avremmo dato una speranza
al futuro.