La Stampa 15.9.18
“Occorre una coscienza razziale per stabilire
non solo differenze ma superiorità nettissime”
di Benito Mussolini
È
questa, o Triestini e Triestine, la quarta volta che ho la ventura,
l’onore e la gioia di rivolgervi la parola. La prima fu nel dicembre del
1918, quando nell’aria della vostra città e nelle vostre anime c’era
ancora, visibile e sensibile, la vibrazione del grande evento che si era
compiuto con la Vittoria. [...]. Dopo molti anni torno fra voi e sin
dal primo sguardo ho potuto riconoscere il grande, il poderoso balzo
innanzi compiuto dalla vostra, dalla nostra Trieste.
Non sono
venuto tra voi per rialzare il vostro morale, così come gli
stilopennivori d’oltre monte e d’oltre mare hanno scioccamente stampato.
Non ne avete bisogno, perché il vostro morale fu sempre altissimo.
(...) Sono venuto per vedere ciò che avete fatto e per vedere altresì
come sia possibile di bruciare rapidamente le tappe per giungere alla
mèta. Sono venuto per ascoltarvi e per parlarvi. (...)
Triestini!
Vi
sono dei momenti nella vita dei popoli in cui gli uomini che li
dirigono non devono declinare le loro responsabilità, ma devono
fieramente assumerle in pieno. Quello che sto per dirvi non è soltanto
dettato dalla politica dell’Asse Roma-Berlino, che trova le sue
giustificazioni storiche contingenti, né soltanto dal sentimento di
amicizia che ci lega ai Magiari, ai Polacchi e alle altre nazionalità di
quello che si può chiamare lo Stato mosaico numero due. Quello che sto
per dirvi è dettato da un senso di coscienza che vorrei chiamare, più
che italiano, europeo.
Quando i problemi posti dalla storia sono
giunti ad un grado di complicazione tormentosa, la soluzione che si
impone è la più semplice, la più logica, la più radicale, quella che noi
Fascisti chiamiamo totalitaria. Nei confronti del problema che agita in
questo momento l’Europa la soluzione ha un nome solo: Plebisciti.
Plebisciti per tutte le nazionalità che li domandano, per le nazionalità
che furono costrette in quella che volle essere la grande
Cekoslovacchia e che oggi rivela la sua inconsistenza organica. Ma
un’altra cosa va detta: ed è che, ad un certo momento, gli eventi
assumono il moto vorticoso della valanga, per cui occorre far presto, se
si vogliono evitare disordini e complicazioni. Questo bisogno del far
presto deve essere stato sentito dal Primo Ministro britannico, il quale
si è spostato da Londra a Monaco, messaggero volante della pace, perché
ogni ritardo non affretta la soluzione, ma determina l’urto fatale.
Questa soluzione sta già, malgrado la campagna di Mosca, penetrando nel
cuore dei popoli europei.
Noi ci auguriamo che in queste ultime
ore si raggiunga una soluzione pacifica. Noi ci auguriamo altresì che,
se questo non è possibile, il conflitto eventuale sia limitato e
circoscritto. Ma se questo non avvenisse e si determinasse, pro o contro
Praga, uno schieramento di carattere universale, il posto dell’Italia è
già scelto.
Nei riguardi della politica interna il problema di
scottante attualità è quello razziale. Anche in questo campo noi
adotteremo le soluzioni necessarie. Coloro i quali fanno credere che noi
abbiamo obbedito ad imitazioni, o peggio, a suggestioni, sono dei
poveri deficienti, ai quali non sappiamo se dirigere il nostro disprezzo
o la nostra pietà. IL perché sono abituati ai lunghi sonni poltroni. È
in relazione con la conquista dell’Impero, poiché la storia ci insegna
che gli Imperi si conquistano con le armi, ma si tengono col prestigio. E
per il prestigio occorre una chiara, severa coscienza razziale, che
stabilisca non soltanto delle differenze, ma delle superiorità
nettissime. Il problema ebraico non è dunque che un aspetto di questo
fenomeno. La nostra posizione è stata determinata da questi
incontestabili dati di fatto.
L’ebraismo mondiale è stato, durante
sedici anni, malgrado la nostra politica, un nemico irreconciliabile
del Fascismo. In Italia la nostra politica ha determinato, negli
elementi semiti, quella che si può oggi chiamare, si poteva chiamare,
una corsa vera e propria all’arrembaggio. Tuttavia gli ebrei di
cittadinanza italiana, i quali abbiano indiscutibili meriti militari o
civili, nei confronti dell’Italia e del Regime, troveranno comprensione e
giustizia. Quanto agli altri si seguirà nei loro confronti una politica
di separazione. Alla fine, il mondo dovrà forse stupirsi più della
nostra generosità che del nostro rigore, a meno che, i semiti di oltre
frontiera e quelli dell’interno, e soprattutto i loro improvvisati ed
inattesi amici, che da troppe cattedre li difendono, non ci costringano a
mutare radicalmente cammino. [...]
Ma per noi Fascisti la fonte
di tutte le cose è l’eterna forza dello spirito, ed è per questo che
rivendico a me il privilegio di realizzare quello che fu l’ideale
bisecolare della vostra città, l’Università completa nei prossimi anni.
Padova, che fu per secoli il solo Ateneo delle genti venete, nel suo
vigilante patriottismo comprende, e sarà Padova che offrirà il gonfalone
alla neo-Consorella giuliana.
Triestini e Triestine!
Dopo
quanto vi ho detto io vi domando: C’è uno solo fra voi di sangue e di
anima italiana che possa per un solo istante dubitare dell’avvenire
della vostra città unita sotto il simbolo del Littorio, che vuol dire
audacia, tenacia, espansione e potenza? Non abbiate qualche volta
l’impressione che Roma, perché distante, sia lontana. No, Roma è qui. È
qui sul vostro Colle e sul vostro Mare; è qui nei secoli che furono e in
quelli che saranno; qui, con le sue leggi, con le sue armi, e col suo
Re.