La Stampa 15.8.18
Fascismo razzista
Il giorno che gli ebrei scoprirono di essere nemici degli italiani
di Alberto Sinigaglia
Il
18 settembre 1938 a Trieste Mussolini tenne un discorso tremendo contro
gli ebrei. Per la prima volta giustificava al Paese e al mondo le leggi
che il re Vittorio Emanuele III aveva già firmate il 5 e il 7
settembre, preludio sinistro al 17 novembre: Regio Decreto 1728 «per la
razza italiana», estremo frutto del «manifesto» dei dieci scienziati
pubblicato il 14 luglio sul Giornale d’Italia.
Il duce calcolò il
momento, il luogo, le parole. Avvertì importanti giornali stranieri.
Scelse la città più internazionale, prossima a confini incandescenti:
l’Austria invasa dal Reich, la Cecoslovacchia in pericolo, a giorni la
Conferenza di Monaco. Scelse la terza comunità ebraica dopo quelle di
Roma e di Milano, che contava ebrei fascisti e irredentisti. Andò a
gridargli in faccia che l’ebraismo era «un nemico irreconciliabile», che
si decideva per loro una «politica di separazione».
Le «soluzioni
necessarie» non sarebbero tardate: via dai libri di testo quelli
scritti o curati da ebrei; via i bambini dalle scuole pubbliche e gli
studenti dalle università; via i padri, le madri e i nonni dalle
cattedre accademiche, dai giornali, da assicurazioni, banche, notai,
pubblico impiego; spogliati della divisa coloro che avevano combattuto
per l’Italia e ancora la servivano in armi; vietati i matrimoni con
ariani.
Il capo del fascismo lanciò due precisi messaggi a chi lo
considerava emulo di Hitler e a chi difendeva gli ebrei: «Sono poveri
deficienti» quanti credono «che noi abbiamo obbedito ad imitazioni o,
peggio, a suggestioni»; «il mondo dovrà forse stupirsi più della nostra
generosità che del nostro rigore, a meno che i semiti di oltre frontiera
(...) e i loro improvvisati amici (...) non ci costringano a mutare
radicalmente cammino».
Un operatore cinematografico ufficiale
filmò tutto. Paolo Gobetti alla fine degli Anni 70 avrebbe acquistato la
pellicola da un collezionista per l’Archivio storico della Resistenza
da lui fondato con Franco Antonicelli a Torino. Vi si vede e ascolta il
solito Mussolini tonitruante quella mattina in una Piazza Unità d’Italia
imbandierata a festa e gremita di popolo, che acconsentiva, applaudiva,
urlando di entusiasmo e invocando il suo nome. Dal punto di vista della
propaganda fascista, un risultato perfetto: i termini, il tono,
l’attore, la scena. Perché il cinegiornale dell’Istituto Luce mostrò
soltanto l’inizio del discorso e poco più? Fu il regime a censurarlo? E
per quale strategia il dittatore, pur tornando spesso al tema razziale,
non dedicò agli ebrei altri discorsi di quella forza, anzi evitò di
nominarli?
Il silenzio di Mussolini li ingannò: furono in molti a
illudersi, a non cercare riparo oltreoceano, a non poter immaginare che,
comunque cittadini italiani, da altri italiani sarebbero stati
consegnati ai nazisti e avviati ai Lager. Poiché quel destino fu segnato
dal «discorso di Trieste», il Polo del ’900 e l’Ordine dei Giornalisti
del Piemonte hanno pensato che ad aprire le manifestazioni torinesi in
memoria delle leggi razziali nulla fosse più efficace di quelle immagini
e di quel sonoro: un grumo di odio, disprezzo e «chiara, severa
coscienza razziale», certo inattuale, ma salutare alla memoria.