giovedì 13 settembre 2018

La Stampa 13.9.18
Remo Bodei
“La verità con-vince non si impone con la violenza”
di Francesca Sforza


La verità è una o sono tante? Il dilemma - antico e modernissimo - è al centro della 18a edizione del Festivalfilosofia, in programma a Modena, Carpi e Sassuolo da venerdì a domenica, dove nel corso di circa 200 appuntamenti, sparsi in oltre 40 luoghi delle tre città, accademici e intellettuali tenteranno di avvicinare la lezione dei classici alle piazze contemporanee. Della sfida abbiamo parlato con Remo Bodei, filosofo e tra i curatori del Festival, a cui non sfugge, nell’epoca del trionfo delle fake news, l’enormità dell’impresa.
Professor Bodei, quando si comincia a interrogarsi sul senso della verità?
«Per la tradizione occidentale l’inizio della domanda sulla verità si ha in Grecia, intorno al V secolo a.C, ma è da Platone in poi, e soprattutto con Aristotele e gli Stoici, che il tema della verità diventa centrale. Rispetto a Erodoto e ai Sofisti, che avevano una visione relativistica della verità (ognuno ha la sua verità), con Platone si pone esplicitamente il problema di un tipo di verità universale, valida per tutti, oggettiva».
Quindi il contrario della verità è l’opinione?
«Fino a un certo punto è stato così, ma già con Platone la verità ha a che fare sia con le opinioni che non sono in grado di giustificarsi, sia con il falso. Il compito del filosofo è proprio quello di mettere a fuoco una verità oggettiva, di cui ognuno possa essere convinto. Che bella la parola “convinto”: essere vinto insieme con gli altri, non dalla violenza di chi impone la propria verità, ma da qualcosa che ciascuno riconosce come vero indipendentemente dalle singole opinioni».
Che spazio c’è per la verità in politica?
«La filosofia e la politica hanno logiche diverse: l’una si occupa della verità, l’altra non può farlo a causa della molteplicità di interessi cui è vincolata e che deve conciliare per soddisfare la maggioranza di chi la sostiene. Il filosofo arabo Al-Farabi diceva che “la filosofia richiede i denti”, ed essendo però la maggior parte delle persone “come i bambini, sdentati”, bisognava limitarsi a dare loro della “pappa”».
La politica deve dare la pappa o aiutare la dentizione?
«Secondo la tradizione ciceroniana classica, che va da Brunetto Latini a Machiavelli, “la politica è l’arte di governare gli Stati secondo ragione e giustizia”. Con Guicciardini e con la nascita della teoria della ragion di Stato la politica diventa però “l’arte di conquistare e mantenere il potere”. È lì che nascono i segreti - la parola segretario è di quell’epoca - e che il governo assolutistico, con astuzia e forza, diventa un modo per controllare, più che per far progredire. Diceva Hobbes: “Auctoritas, non veritas facit legem”».
Trasparenza e «streaming» sono dunque antidoti ai lati oscuri del potere assoluto?
«Con il proto liberalismo inglese torna in auge la discussione pubblica dei problemi dello Stato e nasce l’ideale della democrazia come casa di vetro. Lo streaming non è efficace, ragionare e deliberare richiedono tempo».
Torniamo alla verità oggettiva, quella della scienza ad esempio. Oggi i non scienziati contraddicono gli scienziati: che fare?
«Mi torna in mente quando, subito dopo la Prima guerra mondiale, chiesero al primo ministro francese di chi fosse la colpa della Grande guerra. “Io non lo so“, rispose, “so soltanto che il Belgio non ha invaso la Germania”. Non è vero che tutte le opinioni sono uguali, e lo si può dimostrare logicamente ed empiricamente».
Come si contrasta una falsa opinione?
«Non è facile quando la competenza è un disvalore. Di fronte ai guru, ai complotti, alle cose dette per dire, la logica scorre come acqua sul marmo. Bisogna diffondere educazione, cultura, conoscenze».