Corriere 13.9.18
Festivalfilosofia Da domani a Modena, Carpi e Sassuolo la diciottesima edizione. La «lectio» di Silvia Vegetti Finzi
Mamma, ho assaggiato la verità
Dal visibile e concreto ai primi dilemmi etici: così i bambini imparano a distinguere sincerità e bugia
di Silvia Vegetti Finzi
Niente
è più difficile che definire la verità, tanto che i dizionari se la
cavano con una tautologia: per lo Zingarelli la verità è «la qualità di
ciò che è vero», per la Treccani il «carattere di ciò che è vero». Solo
quando compare l’alternativa tra vero e falso, la verità diviene
evidente. Altrimenti è come l’aria: si avverte solo quando manca. Poiché
mentire è un’abilità assai precoce e i bambini in proposito la sanno
lunga, per prima cosa diamo loro la parola.
Premetto che per
essere tale una bugia deve presumere l’intenzione di mentire, ma questa
consapevolezza richiede un’evoluzione psichica piuttosto complessa che
dobbiamo conoscere per non accusare e punire ingiustamente i bambini per
colpe che non sono in grado di comprendere.
Dapprima la verità si
riferisce all’esistenza concreta, alla realtà immediata, all’evidenza
delle cose. Per i più piccoli la verità si dispiega dinnanzi ai loro
occhi, è quello che vedi, che senti, che puoi toccare e assaggiare. Sino
a tre anni confondono fantasia e realtà, desiderio e verità. Quando si
sentono accusati mentono spontaneamente senza preoccuparsi della
verosimiglianza delle loro giustificazioni, come Marcello che incolpa il
fratellino di due mesi di aver rotto il lampadario con una pallonata.
Nel frattempo, prima di punire un bambino meglio chiedersi: «Perché
mente?», «lo abbiamo messo davvero in condizione di essere sincero?».
A
quattro la verità è nei fatti per cui è più grave rompere quattro
bicchieri senza farlo apposta che uno intenzionalmente. Ma già a sette
anni i bambini colgono appieno il valore della verità quando osservano:
«È preziosa»; «è una cosa che ti fa star bene», «è nella famiglia», come
risulta dalle interviste raccolte dall’insegnante Marta Versiglia ,
nelle classi seconda e quarta di una scuola elementare di Piacenza.
Verso
i nove anni la verità s’interiorizza, diventa una questione personale:
«Per me la verità è dire cose che so solo io», «è un segreto», una
«emozione che ti comunica un senso di gioia e di liberazione». Mentre
prima era nei fatti, ora diventa un impegno morale: «La mia verità è
fare cose belle e non cose brutte», «la verità la devi dire altrimenti
più nessuno crederà in te».
Il verbo «dovere», sempre più
frequente col progredire dell’età, rappresenta la voce degli educatori,
genitori e insegnanti, ma già emergono atteggiamenti di autonomia
morale. Le motivazioni espresse rivelano una differenza profonda tra la
morale maschile, razionale, generica e astratta, e la morale femminile,
più attenta ai rapporti interpersonali e ai sentimenti. Per Pietro la
verità è pace nel mondo, per Corrado amicizia, per Fabio giustizia, per
Guido fiducia e rispetto.
Jasmin invece, come altre compagne,
situa la verità nei rapporti reciproci, nello scambio di parole e di
affetti: «La verità è essere sinceri anche nei momenti peggiori, non
incolpare nessuno e chiedere scusa quando abbiamo sbagliato noi». Per
Angela la verità bisogna dirla per non vergognarsi di fronte alle
amiche. Per Carlotta per non far male agli altri. Per Michela: «È
fiducia nei propri genitori — e osserva — alcune volte però, ma poche,
non bisogna dirla per non far stare male le persone». «Io come tutti
avrò detto delle bugie — confessa Alba — però crescendo sono consapevole
di ciò che sta succedendo».
Emerge tuttavia il sospetto che la
bugia non riguardi soltanto i bambini. Scrive un alunno di quarta: «A
volte anche i grandi mentono» ma subito si rassicura: «Lo fanno per il
nostro bene».
Spesso ci dimentichiamo che i bambini crescono in
costante relazione con adulti che mentono quanto e ben più di loro.
Mentono per gioco quando li lusingano esclamando: «Sei un campione!» o
«ecco la mia principessa». E mentono in modo ben più grave quando,
convinti di proteggerli, nascondono o falsificano questioni
fondamentali, senza riflettere sulle conseguenze dei loro atti. Gli
effetti della menzogna sono diversi se il bambino è soggetto oppure
oggetto di una affermazione reticente o falsa.
La bugia del
bambino fa parte di un processo di sviluppo che evolve da una spontanea
reazione di difesa alla consapevolezza della propria volontà, della
propria responsabilità. Quella dell’adulto costituisce invece un’azione
responsabile da valutare in termini morali, considerando intenzioni e
conseguenze, senza concedersi facili alibi.
Il bambino che sa di
mentire si vergogna della sua debolezza mentre quello ingannato dalle
persone che ama si sente impotente e smarrito. Tuttavia, nonostante sia
un’esperienza dolorosa, l’incontro con la bugia ha un aspetto positivo
perché lo aiuta a superare la pretesa di un sapere onnipotente,
rivelandogli che ognuno conserva in sé una zona di segreto e di mistero.
Nonostante
ogni smentita, la convinzione che il desiderio sia in grado di
soddisfarsi da solo perdura nel sogno, nelle fantasie, nel gioco, nel
pensiero magico, nelle favole e nei miti.
L’immaginazione, per
quanto irreale, svolge una funzione consolatoria e creativa. Basta
pensare all’amico immaginario che il bambino troppo solo evoca per farsi
compagnia. Se il genitore lo deride o gli ingiunge di non dire
stupidaggini, si sentirà ferito e, chiudendosi in se stesso, smetterà di
esprimere il suo mondo interiore. La bugia, iscritta nel tessuto della
comunicazione, negli equivoci che costellano ogni scambio, si rivela
patologica quando diviene una modalità reiterata, quasi coatta di
interagire con sé stessi e con gli altri, quando il bambino inganna e si
inganna e come forma di vita, come modalità predominante di difesa e di
reazione.
Dapprima il bambino, che fa propria la verità dei
familiari, è convinto di essere ciò che gli altri pensano di lui. Solo
con la pubertà si porrà il compito di definire sé stesso, di delineare
la sua identità. Un compito particolarmente arduo in questi anni quando
gli adolescenti, alle prese con la difficoltà di crescere, vengono
attratti dalle suggestioni del mondo virtuale, dove tutto appare
possibile e reversibile. Che cosa possono fare gli educatori per
proteggerli e guidarli? Oltre alle regole di comportamento quotidiano,
ormai note, è fondamentale rendere le esperienze dei ragazzi concrete e
vive, affascinanti e promettenti. Il mondo reale deve proporre un futuro
realizzabile attraverso la responsabilità dei propri desideri e la
condivisione degli obiettivi.
In ogni caso la verità è una
condizione necessaria all’integrità personale e alla vita sociale: di
menzogna si muore. Dopo tante variabili, una domanda torna ad
assillarci: è possibile raggiungere la coincidenza del vero e del fatto,
del sentire e del dire?
Come sostiene Karl Jaspers, la verità non
è mai un possesso assoluto e definitivo ma tensione e ricerca. Per noi
che viviamo nell’esserci del tempo, la verità è un obiettivo al tempo
stesso impossibile e ineludibile. Eppure è questa contraddizione che ci
rende umani.