La Stampa 10.9.18
Una statua per la vittoria sui musulmani
La battaglia di tre secoli fa spacca l’Austria
di Francesco Sorti Rita Monaldi
Lo
scontro è avvenuto di sabato sera al tramonto, in un bosco collinare,
alla luce delle fiaccole, come ai tempi di Braveheart. Da una parte una
manifestazione «identitaria» di estrema destra, con tanto di sospetti
neonazisti. Dall’altra un corteo «resistente» della sinistra
extraparlamentare, trattenuto a fatica dalla polizia. Grida,
manganellate, fuggi fuggi nella boscaglia.
La data della discordia
Sembra
incredibile, ma in un Paese avanzato e con i piedi per terra come
l’Austria questo rito un po’ tribale si va ripetendo ormai ogni anno. In
prossimità del fatidico 12 settembre, sulla collina del Leopoldsberg si
affrontano a spintoni e sassate due visioni del mondo, divise da un
evento vecchio di tre secoli. Il 12 settembre 1683 la Vienna imperiale e
asburgica, assediata dai musulmani dilaganti di Kara Mustafà, quando
era ormai sul punto di cedere (il Kaiser era scappato a gambe levate)
venne liberata da un’armata transnazionale di principi cristiani. Grazie
alla mediazione politica e al finanziamento di papa Innocenzo XI e del
suo factotum, il predicatore cappuccino Marco d’Aviano (oggi beato), i
guerrieri cristiani lanciarono l’attacco vincente da una delle alture
che dominano la capitale: il Leopoldsberg, l’estremo picco orientale
delle Alpi, che si spengono proprio nel Danubio. Ai cristiani, guidati
dal re polacco Jan Sobieski, mancavano all’appello forze importanti: i
francesi (che speravano in una sconfitta dei rivali Asburgo e fornirono
agli ottomani know how militare) e i veneziani (che tenevano di più ai
loro lucrosi commerci con l‘oriente). Ma miracolosamente l’avanzata
islamica venne bloccata. Altrimenti oggi tra Praga, Monaco e Firenze
avremmo più minareti che campanili.
Oltre tre secoli dopo, questo
spartiacque della storia europea ancora divide le coscienze. La Turchia
di Erdogan è più che mai in rotta di collisione con l’Austria, che ha
vietato il velo nelle scuole, sta chiudendo sette moschee ed espellendo
oltre 40 imam radicali. Erdogan da parte sua quando è in campagna
elettorale fa scendere in piazza i «suoi» turchi anche nei Paesi di
lingua tedesca, dove sono una fetta importante della società. Per tutta
risposta, l’Austria minaccia di cacciarli: la grinta non manca al giovin
cancelliere democristiano Sebastian Kurz. Grazie al suo navigato
mentore Michael Spindelegger (gli insider lo chiamano «il nostro
Andreotti») ha resuscitato alla grande la moribonda Övp portandola al
governo e in cima ai sondaggi delle prossime europee. E ora, momento
magico, la repubblica alpina è di turno alla presidenza del Consiglio
Ue. Arriva quindi assai sgradita la grana del 12 settembre.
Il comitato polacco
Sono
ormai cinque anni infatti che la destra della Fpö, con cui Kurz ha
formato la sua controversa coalizione, insiste per erigere sul
Leopoldsberg un monumento alla vittoria del 1683 contro gli ottomani. Si
forma un comitato anche in Polonia, il sindaco di Cracovia mette a
disposizione uno schizzo su carta del monumento equestre. Nella storica
rocca del Leopoldsberg (il nome originale era Kahlenberg) è già pronto
il piedistallo, manca solo il via libera del comune di Vienna. Ma la
commissione per le Belle Arti della giunta si accorge che la statua
disegnata dai polacchi non è politically correct: re Sobieski galoppa
allegramente su una distesa di guerrieri islamici con la testa mozza. La
scena dev’essere davvero sanguinolenta, perché in ben cinque anni
nessun giornalista o blogger è riuscito ad averne una foto. I viennesi
sono maestri della censura mediatica: un leggendario e potentissimo capo
ufficio stampa del Comune, rimasto in carica per 35 anni, riuscì fino
al giorno della pensione a fare circolare solo una sua foto, in cui era
giovane e bello.
Progetto top secret
Lo schizzo dei polacchi
quindi viene in tutta fretta «schubladiert», cioè sepolto nel
proverbiale cassetto. Il capogruppo della Fpö si infuria e accusa: «È un
piacere fatto alla comunità turca di Vienna». Anche dalla Polonia
arrivano commenti indignati. Il Comune viennese però da mezzo secolo è
amministrato dai socialisti della Spö, che adesso sono all’opposizione
del governo di centro-destra e rispondono beffardi: «Un monumento si
farà, per carità, però forse non questo». Per prendere tempo viene
esposta una semplice stele commemorativa in inglese, tedesco e polacco,
subito sfregiata da ignoti con lo spray: «No ai nazi». Risultato: in
prossimità della fatale ricorrenza, l’anno scorso e quest’anno
manifestanti di destra pro-monumento e avversari di estrema sinistra
(slogan di quest’ultimi: «Vienna non è Chemnitz!») sul Leopoldsberg se
le sono date di santa ragione all’imbrunire con fiaccole, mazze e
coltelli. I servizi segreti ovviamente hanno fiutato elementi di cellule
neonaziste: proprio come a Chemnitz.
La chiesa contesa
Ironia
della sorte, la rocca gloriosa del Leopoldsberg con annessa la chiesa
in cui Marco d’Aviano tenne l’ultima predica prima dell’epica battaglia
non è statale né comunale, bensì privata: appartiene a un convento di
frati domenicani. Forse per smarcarsi dalla Fpö (la Chiesa austriaca lo
ha fatto anche in tema di migranti, appoggiando le politiche di
accoglienza), i frati hanno affittato per 99 anni l’intero complesso a
uno stravagante architetto-imprenditore, Alexander Serda, che è solito
tenere a lungo chiusi e cadenti gli edifici storici che gli vengono
affidati. Così è accaduto anche al sacrario del Leopoldsberg, riaperto
nel giugno scorso dopo ben 11 anni di chiusura.
Intanto Serda ha
messo le mani su un altro gioiello dell’«identità viennese», uno dei
locali storici del quartiere di Grinzing, il celebre Heurige («mescita
di novello») della famiglia Reinprecht. Scopo: lottizzazione in
miniappartamenti di lusso. Arredamento e suppellettili dell’antico
locale venduti a due soldi (qualche cimelio l’abbiamo comprato anche
noi, con le lacrime agli occhi), e ora cantiere lasciato a metà, senza
operai. Anche nella orgogliosa Vienna diventa difficile essere
«identitari».