Corriere 10.9.18
Mille miliardi sulla Via della Seta
di Milena Gabanelli e Danilo Taino
Pechino
è pronta a mobilitare almeno 1000 miliardi di dollari nella Belt
& Road Infrastructure, progetto più noto come Via della Seta.
L’obiettivo è unire attorno alla Cina l’intera Asia e collegarla con
l’Europa attraverso strade, ponti, ferrovie, gasdotti e oleodotti,
parchi industriali e una poderosa logistica sulle vie d’acqua, con porti
e infrastrutture collegate negli oceani Pacifico e Indiano e nel
Mediterraneo, sulle rotte delle sue merci e dei suoi interessi politici.
Lo sbarco in Germania
Il
punto di arrivo più significativo in Europa al momento è a Duisburg, in
Germania, scelta dai cinesi come hub per l’arrivo della ferrovia
dall’Est cinese. Arrivano circa 30 treni cinesi la settimana carichi di
container: trasportano prodotti che vengono distribuiti in Europa.
Duisburg sta costruendo magazzini per 20 mila metri quadrati. Il costo
di trasporto dalla Cina a Duisburg per ferrovia è del 90% più alto
rispetto alle navi, ma il viaggio dura 12 giorni invece di 45.
Collegamenti ferroviari esistono già con Londra e Madrid.
I porti europei
Quest’anno
il gruppo di stato cinese Cosco ha preso un terminale a Zeebrugge, il
secondo porto del Belgio: è il primo investimento portuale nell’Europa
del Nord. Sempre Cosco, ha investito nel 2016 un miliardo di dollari
nell’acquisizione dell’uso del porto del Pireo, ad Atene, e nel suo
ammodernamento.
Nel 2017 Cosco ha comprato per 203 milioni di euro
Noatum Port Holdings che gestisce le operazioni di container nei porti
di Valencia e Bilbao, mentre in Italia controlla il 40 per cento del
porto di Vado Ligure, terminale per container.
Cosco Shipping è
interessata anche alla costruzione di un nuovo molo al porto di Trieste
attraverso un’acquisizione diretta, e i viaggi di fine agosto nella
capitale cinese del ministro dell’Economia Giovanni Tria e del
sottosegretario allo Sviluppo Michele Geraci confermano il desiderio di
trovare una collaborazione. Trieste diventerebbe così uno degli hub più
importanti sulle rotte che collegano la Cina, via Canale di Suez,
all’Europa, soprattutto per rifornire quella dell’Est e balcanica, dove i
cinesi sono molto attivi.
L’espansione
Con l’Est europeo,
Pechino ha un Forum stabile, chiamato 16+1Cooperation dove 16 sono gli
europei e uno è la Cina. E’ un forum tutto orientato a investimenti
nell’Europa dell’Est e nei Balcani: paesi più facili da coinvolgere
dell’Europa occidentale, perché più bisognosi e con meno remore
all’arrivo di capitali. In Polonia i treni cinesi che partono da
Chengdu, arrivano a Lodz.
In Serbia sono iniziati i lavori per la
ferrovia di 336 chilometri Belgrado-Budapest, sulla linea che unirà il
Pireo al Baltico. Per realizzarli, la Serbia ha acceso un prestito di
297,6 milioni di dollari con la Exim Bank cinese.
La Lettonia ha
firmato un memorandum di cooperazione economica: ci sono tre porti
potenzialmente interessanti: Riga, Ventspils, Liepaja. Inoltre mira a
diventare il polo logistico per trasferire verso la Scandinavia i
prodotti del parco industriale Cina-Bielorussia di Minsk. La Romania,
che si affaccia sul Mar Nero, punta a entrare nella Belt and Road, per
smistare verso l’Europa i prodotti che arrivano da Russia e Cina. La
Repubblica Ceca ha una partnership strategica con Pechino soprattutto
per gli investimenti nell’immobiliare e nei media.
In Ungheria la
Cina ha già investito parecchio nella costruzione di nuove aziende e 3
miliardi per la costruzione di una centrale nucleare.
I nuovi poteri
Se
il progetto seguirà i desideri del Presidente Xi, si formerà una
ragnatela di infrastrutture che unisce l’Asia dell’Est, l’Asia Centrale,
la Siberia, la Russia e l’Europa, con Pechino al centro. A seconda di
come la guardi sarà un supercontinente di scambi commerciali, o un
supercontinente dominato dagli interessi cinesi in economia e in
geopolitica. Intanto oggi è più quello che ci vendono di quello che
comprano visto che la metà dei container che arrivano a Duisburg
dall’Asia tornano indietro vuoti; mentre oltre l’80 per cento dei
progetti è realizzato da main contractor cinesi.
Le condizioni cinesi
La
strategia è quella di fare prestiti per lo sviluppo dei porti e
collegamenti ferroviari, o mettere soldi per entrare nella gestione di
aziende di stato, attraverso le loro società di stato. I soldi per fare
le opere poi vanno restituiti. Lo Sri Lanka non ci è riuscito e ha
dovuto cedere le infrastrutture ai cinesi, a rischio Pakistan e
Malaysia. Più un paese è finanziariamente debole e più è propenso a
passare sopra ai termini dei contratti. La Germania ha allo studio
normative per frenare gli investimenti cinesi in società tedesche,
acquisizioni che non fanno parte della BRI ma sono collegati. La
reazione nasce a seguito dell’acquisto, nel 2016, di Kuka Robotics, da
parte dei cinesi di Midea Group per 4,5 miliardi di euro.
I nodi da sciogliere
Che
le loro proposte possano essere opportunità di business è fuori
discussione. Ma non si tratta mai di rapporti da pari a pari: i cinesi
possono investire ed entrare nella gestione delle nostre infrastrutture,
ma a nessuna azienda europea è concesso investire in una azienda di
stato cinese. Nel loro piano di espansione non trattano con l’Unione
Europea, ma direttamente con ogni singola capitale o in forum da loro
controllati. In prospettiva la via della seta sarà un dominus con valori
e metodi molto diversi da quelli europei. A Bruxelles lo sanno e
qualche mese fa, in una lettera, 27 ambasciatori europei a Pechino
(mancava l’ungherese) hanno sottolineato che la Belt and Road Initiative
«va contro il programma della Ue» e favorisce esclusivamente le grandi
imprese cinesi. Pechino desidera investire in Italia: sarà fondamentale,
se accordi si faranno, non solo scrivere contratti in linea con le
pratiche europee, non solo stabilire chi realizzerà i lavori, se imprese
italiane, cinesi o miste, ma soprattutto, avere chiaro quali sono gli
interessi politici che muovono gli investimenti cinesi.