lunedì 10 settembre 2018

La Stampa 10.9.18
Dagli Usa all’Italia l’abbraccio tra sovranisti e delusi del Papa
di Federico Capurso Francesca Paci


All’ombra della foresta di Strandzha, sul confine tra la Bulgaria e la Turchia, il comandante Vladimir Rusev, passamontagna e crocefisso al collo, coordina i volontari del BNOShipka impegnati a respingere gli islamizzatori di Erdogan a suo dire camuffati da «profughi». A Varsavia l’attivista Marta Lempart guida il movimento femminista Strajk Kobiet al grido di «Polonia laica e non cattolica» contro la legge anti-abortista sponsorizzata dalla parlamentare Kaja Godek e sostenuta da una fetta crescente della popolazione, quella che un anno fa, portò in piazza un milione di persone armate di rosario per scongiurare l’invasione musulmana. E poi ci sono i devoti cristiani di Visegrad, il premier spagnolo Sanchez che scopre una rinnovata sensibilità religiosa del Paese sulla strada della rimozione della spoglie di Franco dalla Valle de los Caìdos.
La rivincita della Vandea
Addirittura la patria di Voltaire soffre un po’ il vento che soffia da est e da oltreoceano, se l’ex ministra della famiglia di Sarkozy e cattolica praticante Nadine Morano, in barba alla sua fama borderline, semina con le intemerate sulla Francia «di razza bianca» un terreno già arato dai paladini delle nozze etero di Manif pour tous e dai neo-con di Sens Commun, avanguardie di un fronte reazionario che attraverso la riscoperta di Dio accorcia le distanze da quell’Italia salviniana ufficialmente nemica dei cugini mangia-rane. Uno spettro, stavolta bianco, si aggira per l’Europa. E’ la rivincita della Vandea sulla lunga egemonia culturale dell’illuminismo repubblicano?
«La convergenza, per ora più culturale che politica, tra nazional-populismi e destra cattolica ostile all’ecumenismo di Bergoglio è un fenomeno reale ed è particolarmente evidente in Italia, l’unico Paese dell’Europa occidentale dove i populisti sono al potere» osserva il sociologo delle religioni Stefano Allievi. All’inizio è stato l’Islam, dice, poi il fronte si è allargato: «In Italia questo pezzo di Chiesa c’è sempre stato ma era marginale. L’immigrazione, specie quella musulmana, l’ha saldato alla retorica securitaria e sovranista per alzare il tiro contro gli stranieri tutti, il pontificato aperto di Francesco, i valori liberali e via, di nemico in nemico, fino alla riproposta della razza e all’anti-semitismo». La paura dell’islam è un nodo, tanto che il leader di Sverigedemokraterna Jimmie Akesson si prepara a espugnare le urne svedesi ergendosi ad argine della marea musulmana. In realtà nella laica Stoccolma come nell’Olanda di Wilders la fede pesa poco, ma anche per chi non frequenta la Messa il richiamo del muezzin suona come una sfida identitaria forte, una chiamata alle armi in vista del presunto imminente scontro delle civiltà ribadita l’estate scorsa al G20 di Amburgo dal presidente americano Trump.
Una dinamica globale
«Il paradosso è che in una fase tutt’altro che espansiva come quella del cristianesimo contemporaneo l’islam accenda una reazione identitaria, sia pur in chiave difensiva» ragiona lo storico del cristianesimo Agostino Giovagnoli. Si scorge un po’ ovunque, ammette l’accademico, il riemergere di una frangia cattolica nostalgica del vecchio Papa e dell’asse con i cristiani rinati alla George W. Bush e gli evangelici in chiave anti progressista e anti secolare, quella che gli americani chiamano «l’opzione Benedetto»: «Sono gruppi che tendono a rifiutare le evoluzioni della società contemporanea rivendicando la morale tradizionale e si concepiscono minoritari, il loro avversario è ovviamente Bergoglio perché non è un Pontefice identitario e ridimensiona l’importanza dei valori non negoziabili». Sono passati meno di vent’anni da quando l’Italia berlusconiana, affiancata all’epoca solo da Irlanda e Polonia, perdeva la battaglia per «il riconoscimento delle comuni radici giudaico-cristiane» nella Costituzione europea. Poi sono arrivati gli attentati jihadisti (un crescendo dopo il 2001) e il risveglio dell’est, dove contrariamente all’ovest la devozione non è affatto démodé. Uno studio recente del Pew Research Centre rivela un’inversione di tendenza nella marcia fin qui contagiosa del laicismo, specie in Grecia e nei Paesi ex comunisti, dove il dirsi cristiano (oltre il 70% degli interpellati) si lega sempre più al nazionalismo e a posizioni sociali conservatrici.
È il momento di Orban, il tre volte premier ungherese nemico delle moschee, dei migranti e del finanziere di origine ebraica Soros, che dopo essere stato a lungo un’eccezione nel quadro europeo sembra oggi un precursore. «La differenza è che in Europa la politica e la religione sono state separate una dall’altra mentre nell’islam la religione determina la politica» sosteneva il suo ex ministro delle risorse umane e pastore calvinista Zoltan Balog lasciando intendere che fosse il tempo di serrare le fila.
Il patriottismo bioetico
C’è una consequenzialità con la riforma costituzionale firmata da Orban nel 2012, che pur rispettando le diverse tradizioni religiose del Paese rivendica il ruolo del cristianesimo nella preservazione della nazione, la famiglia, il diritto alla vita e, di fatto un sovranismo a tutto campo che stride parecchio con il mondialismo di Bergoglio, accusato anche di non denunciare con sufficiente forza la persecuzione della Chiesa in terra d’islam anteponendo alla difesa delle minoranze cristiane il dialogo interreligioso e le convenienze geopolitiche. Il vento sta cambiando, scommette Orban, che alcune settimane fa in Romania ha illustrato il suo piano di un’Europa centrale cristiana e non multiculturalista (i 4 di Visegrad più magari la Serbia di Vucic, la Croazia, il Montenegro e l’ Austria) da realizzarsi a breve, con il pensionamento prossimo dei sessantottini liberal e l’avvento della generazione anni ’90, anti comunista, nazionalista e devota. «La richiesta d’identità non è necessariamente legata ad un revival religioso ma di certo ritorna nel momento in cui lo Stato e le ideologie non ci fanno più essere qualcosa» riflette lo studioso di relazioni internazionali Vittorio Emanuele Parsi, poco convinto della durata del neo-comunitarismo cristiano a fronte di un declino costante della pratica religiosa e dell’osservanza della morale cattolica. Eppure, sottolinea la sociologa britannica Grace Davie, c’è un rapporto tra la vecchia definizione di europei occidentali come «believing without belonging» (credere senza appartenere) e il riposizionamento dell’Europa centro-orientale sul «belonging and believing but not necessarily behaving in a religious way» (appartenere e credere ma non per forza comportarsi in maniera religiosa), vale a dire fede patriottica e identità collettiva: vale a dire, in altre parole, la visione del guru dell’alt right statunitense Steve Bannon venuto a investire in Europa il suo sogno di un’internazionale populista.
Il macro-fenomeno dell’abbraccio fra delusi di papa Bergoglio e sovranismo è un vasto mosaico, composto da una molteplicità di tessere, dagli Stati Uniti all’Italia. Una grande eredità è stata portata avanti da Matteo Salvini, in quell’opera di disfacimento e ricostruzione del partito che fu di Umberto Bossi: la «protezione dell’identità». Intorno ad essa è stato riannodato il rapporto tra la Lega e la Chiesa dei «valori non negoziabili», cresciuto nel segno della difesa delle «radici bianche e cristiane dell’Europa», della famiglia tradizionale, del crocifisso. Così, il mondo politico stringe a sé quello religioso, nel nome di una comune crociata per la Patria e contro il mondialismo.
Rosario e Vangelo ai comizi
Difficile poter derubricare il tutto ad una semplice manifestazione di folklore conservatorista. Non lo è il giuramento di Salvini «sul Vangelo e sulla Costituzione» celebrato durante il comizio di chiusura dell’ultima campagna elettorale brandendo un rosario. Gesto poi ripetuto a Pontida e accompagnato dalla promessa di «non mollare fino a che non avremo liberato i popoli di tutta Europa», rendendo così ancor più esplicita l’auto-proclamazione a vate dell’identità cristiana, in antitesi alle critiche di Papa Francesco nei confronti degli «sgranarosari». Non può essere solo folklore la celebre maglietta con il messaggio «Il mio papa è Benedetto», se la nostalgia per il pensiero di Ratzinger viene armata contro l’accoglienza predicata da Francesco: «Io ricordo le parole di Benedetto XVI alla giornata dei migranti 2012 – spiegherà poi Salvini a Radio Padania – quando ha detto che prima del diritto di emigrare va riaffermato il diritto a non emigrare. Poi la storia ci dirà perché Benedetto ha abdicato».
È dunque intorno alla più profonda idea di poter preservare la purezza dei valori cristiani, che i movimenti politici nazionalisti stanno attirando a sé i delusi dalla Chiesa di Bergoglio. Perché in questo nuovo abbraccio tra sovranismo di destra e cattolicesimo tradizionalista (neppure troppo nuovo se si pensa alle Croci Frecciate degli anni Trenta) il guastafeste è Francesco, il Papa mondialista, aperturista, la bestia nera dei vescovi americani di cui Flavio Cuniberto, studioso di René Guenon (l’anello di congiunzione tra la destra esoterica e l’islam), ha scritto che «si comporta come se fosse cattolico, ma non lo è». Il dissenso nel mondo cattolico è un fiume nel quale affluiscono mille rivoli d’acqua. Sotto la stessa bandiera si riuniscono i semplici credenti delusi dal nuovo corso bergogliano e i più duri lefebvriani, che si oppongono all’ecumenismo e al dialogo interreligioso inaugurato dal Concilio Vaticano II, passando per i teo-con statunitensi, fino ai più radicali seguaci del modello di pontificato di Pio V, il papa della Lega Santa che nel 1571 sconfisse l’impero ottomano nella battaglia navale di Lepanto. Eppure, le sfaccettature di questo mondo collimano con il nuovo leghismo salviniano (e più in generale con il nuovo nazionalismo europeo), che si è fatto contenitore ampio di una visione politica e insieme religiosa di difesa dei valori identitari.
Padania bianca e cristiana
L’assonanza delle idee è spesso limpida, come nel discorso da Pontida dell’europarlamentare della Lega Mario Borghezio: «Noi siamo celti e longobardi, non siamo robaccia levantina o mediterranea. Noi, la Padania bianca e cristiana, quelli di Lepanto, con le bandiere del cuore crociato. Noi che non diventeremo mai islamici». I movimenti cattolici che affollano le Marce per la Vita e riempiono il Circo Massimo, a Roma, nel giorno del Family Day, germogliano nello stesso terreno del vice segretario della Lega Lorenzo Fontana, oggi ministro per la Famiglia.
«La famiglia naturale è sotto attacco. Vogliono dominarci e cancellare il nostro popolo - sosteneva già nel 2016 Fontana dal palco del convegno dell’associazione Pro Vita Onlus- Da un lato l’indebolimento della famiglia e la lotta per i matrimoni gay e la teoria del gender nelle scuole, dall’altro l’immigrazione di massa che subiamo e la contestuale emigrazione dei nostri giovani all’estero. Sono tutte questioni legate e interdipendenti, perché questi fattori mirano a cancellare la nostra comunità e le nostre tradizioni». La Fondazione Lepanto, guidata dallo storico Roberto De Mattei, nasce - si legge - per «difendere la tradizione religiosa e morale cristiana, aggredita dalla dittatura del relativismo», i valori della «vita e della famiglia naturale», ma anche per «proteggere la proprietà privata, assalita dal socialismo confiscatorio dello Stato moderno e delle oligarchie ideologico-finanziarie», e per «difendere gli Stati nazionali, espropriati della loro sovranità da potentati che inseguono l’utopia di una Repubblica anticristiana universale». Istanze politiche e religiose si mescolano, talvolta, fino a diventare indistinguibili.
Se il concetto di «patria» (e non più quello di Padania) è centrale nella nuova Lega di Salvini, «anche la Chiesa cattolica ha sempre apprezzato l’idea di Nazione come di un guardiano del popolo», dice a La Stampa il cardinale Raymond Burke, punto di riferimento dell’ala clericale tradizionalista che combatte ferocemente il riformismo di Bergoglio. Non è un caso se Burke entra in contatto, nell’aprile del 2017, proprio con il leader della Lega. Salvini viene invitato nella casa del prelato americano e la sintonia è immediata, nella dichiarata lotta alle «frontiere aperte» della Chiesa di Francesco. D’altronde, l’ala dura del dissenso al Pontefice, da sempre esistita nel mondo cattolico, oggi non è più silenziosa. Si muove alla luce del sole e rimbomba nel web, tra decine di siti, blog, pagine social, in cui spesso si intrecciano attacchi spietati contro Bergoglio e difese accorate di Orban e Salvini.
La fronda nel catto-web
A partire dai social network, come avviene sulle pagine degli scrittori Marco Tosatti e Antonio Socci, seguiti da migliaia di follower. E con maggiore evidenza si manifesta nel caso dei due piccoli siti web di informazione cattolica «Rosso Porpora» e la «Nuova Bussola Quotidiana», fermi sostenitori delle accuse mosse contro Francesco, ed entrambi chiamati a raccogliere il pensiero di Salvini in un’intervista: «Credo che le persone di sensibilità cattolica abbiano potuto apprezzare molte delle nostre lotte, specie negli ultimi anni - dice Salvini a Rossoporpora - a partire dall’affermazione della famiglia come nucleo fondamentale della società, formata da padre e da madre, non da inquietanti e anonimi genitori 1 e 2, fino alla difesa di quei simboli religiosi che appartengono anche al nostro patrimonio culturale e dicono molto delle nostre comuni radici come il Presepe o il Crocifisso negli uffici pubblici. Tutelare questi simboli vuol dire anche tutelare la nostra storia e cultura».