La Stampa 10.9.18
“Non riconosco più il mio Paese
Hanno vinto gli estremismi”
di Mon. Per.
Håkan
Nesser è arrabbiato, e «molto, molto preoccupato». Uno dei maggiori
scrittori di gialli scandinavi (è in uscita il 27 settembre per Guanda
il suo «Morte di uno scrittore»), è un uomo pacato, ama le lunghe
passeggiate sulla costa di Gotland, la mitica isola di Ingmar Bergman, i
colori dell’autunno e le parole scelte con cura. «Non riconosco più la
mia Svezia», dice.
Cosa è successo alla Svezia?
«Sta
cambiando, come sta cambiando il resto dell’Europa. Si sta avvicinando a
Paesi come l’Ungheria, la Polonia, e per certi aspetti anche l’Italia.
Anche qui le persone sono andate a votare scegliendo in base alle
proprie paure, e non ai propri valori. Hanno deciso di votare chi non ha
programmi, ma solo anti-programmi. Hanno scelto i Democratici svedesi,
ma nessuno sa o ha capito cosa vogliano davvero fare. Sono stati voti
rabbiosi, basati sulla manipolazione. Voti buttati. Ma presumo che la
democrazia sia anche questo».
Cosa crede cambierà da oggi?
«Sarà
da ridere. Lo scenario peggiore si è avverato, i sovranisti xenofobi
hanno rischiato di diventare il secondo partito del Paese. Sono andati
peggio delle aspettative, non hanno centrato l’obiettivo: questo è un
segnale fantastico, importante. Ma il vero problema da oggi sarà fare un
governo, un governo che riesca a prendere decisioni e che riesca a
evitare di crollare dopo pochi mesi. Le alleanze saranno il vero rebus,
visto che a parole nessuno vuole fare alleanze con i Democratici
svedesi».
Cosa ne è stato della patria dello stato sociale e del welfare?
«C’è
ancora, ma purtroppo di un segno completamente diverso. Olof Palme non
ne sarebbe molto contento. La Svezia è ancora la patria del welfare
state, ma non quello a cui siamo abituati, un welfare state inclusivo. I
socialdemocratici hanno inventato lo stato sociale, quello garantito a
tutti, che non fa differenze sociali e razziali. I Democratici svedesi
hanno scippato l’icona è l’hanno stravolta. Facendo credere agli svedesi
che gli stranieri vogliano rovinarci. Quello dei Democratici svedesi è
uno stato sociale esclusivo, xenofobo. Forse la sinistra paga
l’immobilità: la Svezia è sempre stata un Paese “nel mezzo”, abbiamo
fatto del lagom, la moderazione, la nostra cifra. Né troppo forte, né
troppo piano, né bianco né nero. Anche in politica sembrava che tutto
l’arco parlamentare fosse d’accordo pressoché su ogni cosa. Ora, con
l’arrivo di Jimmie Åkesson, ci siamo divisi e polarizzati. Prova ne è
che anche la Sinistra estrema è cresciuta: gli svedesi hanno bisogno di
meno moderazione evidentemente. E i socialdemocratici, identici a se
stessi negli ultimi 25 anni, pagano questo cambiamento nella società».
Quale dei punti della campagna di Åkesson trova più discutibile?
«Naturalmente
l’unico punto della campagna di Åkesson, e cioè la demonizzazione dei
migranti. Sento persone che votano per loro che parlano di proteggere la
“svedesità”. Ma cos’è la svedesità di persone che vogliono difendere
l’identità del proprio Paese mentre mangiano un fantastico piatto di
spaghetti alla bolognese?».
Quindi cos’è per lei la svedesità?
«Secondo la teoria di Åkesson è il Natale».
Il Natale?
«Sì,
ha presente il Natale svedese, tutte lucine e canti tra la neve. Per
Jimmie il Natale bisogna proteggerlo come un baluardo contro
l’islamizzazione del Paese».
Cosa vede nel futuro di quelli che non hanno votato Ds?
«Una
qualche forma di resistenza, una consapevolezza maggiore e
un’indipendenza di pensiero critico che porti a una nuova solidarietà
contro l’avanzata dei populismi di destra».