lunedì 10 settembre 2018

Repubblica 10.9.18
Onda xenofoba anche in Svezia La crisi dei Socialdemocratici
I nazionalisti di Akesson sfiorano il 18 per cento dei consensi, aumentando di quasi 5 punti Perde consensi ma non capitola la formazione di centrosinistra, al minimo storico dal 1908
di Andrea Tarquini


STOCCOLMA Festa a Kungsgatan 56, nel centro lussuoso della Stoccolma autunnale dove gli SverigeDemokraterna ( Sd, sovranisti) celebrano il loro successo: 17,7 per cento. Mentre il blocco dei 4 partiti di centrodestra ( Nya Moderaterna, democristiani, centristi, liberali) tutti insieme al 40,3 per cento, praticamente alla pari con socialdemocratici, verdi e sinistra, i governanti uscenti. Il modello svedese regge ma vacilla e fa tremare gli equilibri politici nell’intera Europa. Mentre a Stoccolma si apre il rebus governo.
Sulla carta è un testa a testa tra blocco di sinistra e alleanza " borghese", ma Jimmie Akesson, il giovane leader del nuovo partito sovranista antimigranti ed euroscettico, vince meno del previsto. Anche se è il vero vincitore. Nessuno potrà tentare coalizioni ignorando le sue proposte: basta migranti, no all’islamizzazione e ai ghetti autocostruiti, chiusura delle frontiere. E gli animi erano divisi e nervosi ieri sera nei consulti d’emergenza di tutti i partiti storici del centro di Stoccolma. I socialdemocratrici, creatori della perfetta Svezia moderna e primo partito da 101 anni, calano non poco, al 28 per cento, i Moderati sono al 19,8.
Ben altra altmosfera, festosa da party, a Kungsgatan 56. Giovani casual, trentenni e quarantenni impeccabili in giacca e cravatta, tutti con all’occhiello il fiore blu e giallo, simbolo del nuovo partito che scuote l’Europa. Akesson ha vinto con promesse dure e semplici: «Siamo noi l’unico vero partito antimigranti».
«La patria del multiculturalismo ha deciso di cambiare » , ha esultato dall’Italia anche Matteo Salvini. Festa fino a tardi per i sovranisti, molti giovani urbani ma anche anziani e gente venuta dalla campagna, dalla Svezia profonda.
Atmosfera dura a sinistra, invece, dove il diafano premier Stefan Löfvén è accorso convocato a un vertice d ´ emergenza del partito. Caduta nella trappola dell’emergenza dei migranti (nessun altro Paese ne ospita tanti come la Svezia in proporzione ai cittadini) adesso lui rischia tutto. «E poi non è tutto» , dicono amici del vertice socialdemocratico: « Ci sarebbero leader alternativi carismatici, ma non vogliono assumersi il ruolo ». Soprattutto le donne, influenti in politica in Svezia piú che altrove. Dalla popolarissima ministra degli Esteri Margot Wallström, ideatrice della diplomazia femminista, alla titolare degli Affari europei Ann Linde, alla responsabile delle Finanze Magdalena Andersson.
«In Svezia andiamo verso un clima politico piú duro» , dichiara il professor Magnus Brogen. Forse l’incarico di premier cadrà sulle spalle del leader dei Nya Moderaterma ( conservatori) Ulf Kristersson. Ma il suo partito è diviso tra tentazioni inconciliabili: compromessi coi socialdemocratici per isolare i sovranisti, o governo di minoranza con appoggio sovranista. Il terremoto svedese scuote Parigi Bruxelles e Berlino: nulla sarà mai come prima.
I risultati cambiano di ora in ora, nella domenica soleggiata ma piú tesa che Stoccolma abbia mai vissuto da decenni. «È un nuovo avviso di sfratto per i socialisti», dice Matteo Salvini, e la notizia rimbalza subito sugli attenti media svedesi. Il grande interrogativo- incubo senza risposta è come, con quali formule di governabilità tra chi, cambierà il modello svedese, già lo leggi in volti ansiosi di figli integrati della vecchia immigrazione, le belle ragazze figlie di uno svedese e di una somala che ti guardano diffidenti quando vedono che hai una Leica in mano.
E l’incubo viene anche dalle notizie di tensione in molti seggi. Dove squadracce del Movimento di resistenza nordica, i neonazisti, si sono illegalmente presentate in forza chiedendo alla gente per chi avrebbe votato. In piccolo, anche l’ostilità verso i giornalisti al party elettorale degli SverigeDemokraterna è strappo grave con la gentile tradizione del Paese guida del Grande Nord. Cry the beloved country, piangere l’amato Paese, vien voglia di dire.