Il Sole Domenica 9.9.18
Gli scritti politici
La riflessione di Orwell al di là di «1984»
di David Bidussa
«In
un Paese prospero, la politica di sinistra è sempre in parte fasulla...
la maggioranza dei politici e dei propagandisti di sinistra si guadagna
da vivere pretendendo a gran voce cose che non desidera affatto. Sono
rivoluzionari infuocati fintanto che fila tutto liscio, ma appena
scoppia l’emergenza gettano la maschera. Una minaccia al canale di Suez,
e il loro “antifascismo” si rivela identico alla “difesa degli
interessi britannici”». Si intitola Negri esclusi, è un intervento del
1939 . Non è così invecchiato. È il terzo testo di questa raccolta
curata da Vittorio Giacopini.
Non è la prima volta che di Orwell
si propongono al lettore italiano alcuni suoi scritti politici (una
prima raccolta di suoi saggi critici dal titolo Nel ventre della balena a
cura di Silvio Perrella è uscita per Bompiani nel 1996). Ma quegli
scritti non hanno mai davvero avuto molta fortuna. Orwell è un evergreen
per 1984, fuori da quella distopia non ha mai superato per davvero la
soglia dei suoi lettori fidati. L’immagine è quella dunque di un autore
di un solo testo: 1984. Orwell è invece molto di più e opportunamente
Vittorio Giacopini ha ritentato con questo libro la scommessa di dare
anche al resto il peso che merita. «Vedere cosa abbiamo sotto il naso -
scrive nel marzo 1946 - impone una vigilanza costante. Un sistema utile è
tenere un diario, o comunque registrare in qualche modo le proprie
opinioni sugli eventi importanti. In mancanza di una documentazione,
quando gli eventi smentiscono senza appello una credenza particolarmente
assurda, rischiamo di dimenticare di averla considerata vera». [p. 120]
Il
testo si intitola Sotto il nostro naso. È un testo in cui Orwell fa i
conti con le proprie opinioni e con il costante ritorno e disillusione
che ha caratterizzato il suo viaggio culturale, emozionale e mentale
nella sinistra. Poche righe prima riflettendo sul tema della natalità
[pp. 117-118] sottolinea la problematicità in un futuro prossimo di
poter mantenere lo stesso livello di welfare avendo la prospettiva di
una popolazione anziana e con pochi figli tanto da delineare una
condizione che, con 70 anni di anticipo, non abbiamo nessuna difficoltà a
riconoscere nel nostro presente.
Il tema è dunque come osservare
la realtà, come interrogarla, dove e come scavare, anche e soprattutto
non evitando le domande imbarazzanti e le questioni che il senso comune
dà per non esistenti. Ovvero l’insistenza sulla funzione pubblica
dell’intellettuale, come precisa in Il dilemma dello scrittore [qui alle
pp. 179-181], un testo del 1948.
Perché scrivere? Perché la
politica del Novecento invece di portare verso la libertà ha aumentato
il rischio della schiavitù? Ha ancora senso pensare un domani possibile
mentre lo scenario propone il trionfo e la forza dei totalitarismi?
Perché, come scrive nel 1946, «nella mente dei rivoluzionari militanti o
comunque di quelli che “ce la fanno”, l’aspirazione a una società
giusta si [è] sempre fatalmente mescolata all’impulso di accentrare il
potere nelle proprie mani?»[p. 188].
Sono alcuni dei temi che
George Orwell mette al centro della sua riflessione tra anni 30 e anni
40 del 900. Anni segnati dalla sconfitta della ragione, sconfitta che
genera la convinzione che la politica sia una macchina «mangiauomini».
Ma che in Orwell impongono una volontà: respingere la tentazione di
ritirarsi nel privato, sentire l’obbligo ad esserci e a rispondere. In
breve «non mollare». Da non dimenticare.
Come un pesciolino rosso in una vasca di lucci
George Orwell
a cura di Vittorio Giacopini,
trad. dall’inglese di Elena Cantoni
Eleuthera, Milano, pagg. 224, € 16