Il Sole Domenica 23.9.18
Cosmologia. L’universo in un saggio del fisico e divulgatore Jim Al-Khalili
In viaggio tra i prodigi dello spazio-tempo
di Vincenzo Barone
Ci
sono regali di compleanno che lasciano il segno. In occasione dei
settant’anni di Albert Einstein, nel 1949, il grande logico matematico
Kurt Gödel decise di rendere omaggio al padre della relatività, suo
compagno di passeggiate e di meditazioni a Princeton, con un singolare
lavoro scientifico, contenente un nuovo modello cosmologico. Gödel era
convinto che il tempo fosse un’illusione e pensò di dimostrarlo
concependo un universo perfettamente coerente con le leggi della
relatività generale ma dotato di una caratteristica inaudita: la
possibilità di viaggiare indietro nel tempo, visitando il proprio
passato.
L’universo di Gödel è molto diverso da quello che
conosciamo: per esempio, non si espande, ma ruota. Nessuna legge fisica,
però, lo vieta, e se fosse reale, creerebbe non pochi problemi. Provate
a immaginare che cosa potrebbe succedere se foste in grado di tornare
indietro nel tempo. Il paradosso più eclatante in cui incorrereste è
quello del nonno: supponete che, viaggiando nel passato, decidiate di
uccidere vostro nonno prima che abbia la possibilità di conoscere vostra
nonna e di concepire i vostri genitori. Non sareste quindi potuti
nascere; ma, d’altra parte, se non foste nati, non potreste oggi tornare
nel passato e uccidere vostro nonno.
Come ricorda il fisico e
divulgatore Jim Al-Khalili in Buchi neri, wormholes e macchine del
tempo, che esce ora in un’edizione italiana aggiornata, l’articolo di
Gödel segnò il momento in cui i viaggi nel tempo, in precedenza
appannaggio solo della letteratura di fantasia, conquistarono il
palcoscenico della fisica. Era l’inizio dell’investigazione scientifica
dei territori estremi ed esotici, ma ammissibili, dello spazio-tempo.
C’era stato, a dire il vero, un precedente: lo stesso Einstein, assieme a
Nathan Rosen, aveva immaginato nel 1935 un modo per connettere,
attraverso una sorta di scorciatoie cosmiche, due universi paralleli.
I«ponti di Einstein-Rosen» sono gli antesignani dei wormholes, i
cunicoli spazio-temporali che collegano regioni lontane dello stesso
universo (invece che universi distinti, come nella proposta di Einstein e
Rosen).
A inaugurare la moderna ricerca su queste intriganti
strutture cosmologiche è stato negli anni Ottanta del secolo scorso un
fisico di grande ingegno, Kip Thorne, su richiesta dell’amico Carl
Sagan, il famoso astronomo e scrittore, che intendeva introdurre i
wormholes nella trama del suo romanzo Contact. Sagan aveva bisogno di
wormholes stabili, sufficientemente grandi e percorribili nei due sensi,
in modo da dare la possibilità a una missione terrestre di entrare in
contatto con una civiltà aliena e di tornare indietro. Thorne si mise al
lavoro e, con sua grande sorpresa, scoprì che lo spazio-tempo
relativistico ammetteva effettivamente collegamenti di questo genere.
L’intreccio
tra scienza e finzione si è ripetuto di recente ancora con Thorne, il
quale ha contribuito come soggettista e produttore esecutivo alla
realizzazione di Interstellar, uno dei più interessanti film di
fantascienza degli ultimi anni, diretto da Christopher Nolan. I
“protagonisti” scientifici del film sono – in una cornice fantastica –
gli stessi del libro di Al-Khalili: un buco nero supermassiccio, simile a
quelli che popolano i centri di molte galassie (compresa la nostra), un
wormhole, che si apre improvvisamente vicino a Saturno, e, soprattutto,
una macchina del tempo. Quest’ultima è pensata da Thorne come un
ipercubo che si muove in una quinta dimensione, ma, come spiega
Al-Khalili, in linea di principio si possono concepire macchine del
tempo anche nel nostro solito universo, senza aver bisogno quindi di
dimensioni extra o di modelli di tipo gödeliano: basta (si fa per dire)
che si combinino opportunamente dei wormholes attraversabili, nella
speranza che non sia vero quanto congetturato da Stephen Hawking, e cioè
che non si scopra qualche nuova legge della natura a protezione del
corso ordinario degli eventi.
Curiosamente, tra tutti i prodigi
spazio-temporali, in Interstellar ne mancava uno, di cui abbiamo oggi
evidenza diretta: le onde gravitazionali. Sebbene non fossero state
ancora osservate, Thorne le aveva inserite nel soggetto originario del
film, risalente al 2004, ma alla fine il regista aveva deciso di
eliminarle. Ironia della sorte, appena un anno dopo l’uscita del film,
all’inizio del 2016, l’esperimento statunitense Ligo e l’omologo
italo-francese Virgo hanno annunciato la scoperta delle prime onde
gravitazionali (per questo risultato Thorne, co-fondatore e responsabile
teorico di Ligo, è stato insignito l’anno scorso del premio Nobel per
la fisica assieme ai colleghi Rainer Weiss e Barry Barish).
In
cosmologia, come si vede, l’osservazione e l’invenzione si rincorrono e
si sostengono a vicenda, disegnando un’immagine dell’universo a dir poco
stupefacente. Quella che è in corso sotto i nostri occhi, e che ci
regala quotidianamente sorprese, è una straordinaria avventura, che
Al-Khalili racconta con la sua riconosciuta abilità divulgativa,
accompagnando il lettore tra i più misteriosi abitatori del cosmo e
nelle pieghe nascoste del tempo, in un viaggio vertiginoso ma sempre sul
solido terreno della scienza.
vincenzo.barone@uniupo.it
Questo
articolo è una versione modificata della prefazione di Vincenzo Barone a
Jim Al-Khalili, Buchi neri, wormholes e macchine del tempo (Dedalo,
Bari, pagg. 320, € 13,60) nei prossimi giorni in libreria