Il Sole Domenica 23.9.18
Un’eredità oltre al marxismo
Antonio
Labriola. Se con Gramsci non c’è una continuità lineare, va detto che
il filosofo è stato una presenza determinante anche per Croce, per
Gentile e per la storiografia italiana
di Michele Ciliberto
Antonio
Labriola è senza dubbio, insieme a Gramsci, la figura più rilevante del
marxismo italiano, anche se fra i due c’è una vera e propria soluzione
di continuità. Del resto, per lo stesso Gramsci Labriola è una
“scoperta” compiuta in primo luogo nei Quaderni del carcere in stretto
rapporto con l’interpretazione del marxismo come filosofia della praxis.
Il problema su cui Gramsci si incontra con Labriola è precisamente
l’affermazione dell’autonomia della filosofia della praxis in
opposizione esplicita con le interpretazioni del marxismo di tipo
sovietico: «il Labriola», scrive Gramsci, «affermando che la filosofia
della prassi è indipendente da ogni altra corrente filosofica [...] è il
solo che abbia cercato di costruire scientificamente la filosofia della
prassi».
Sarebbe però un errore assai grave restringere
l’influenza di Labriola al marxismo italiano; è stato infatti una
presenza determinante anche per Croce, per Gentile e per la nascita e lo
sviluppo della storiografia italiana, in particolare per la «scuola
economico-giuridica».
Fu proprio grazie a Croce che Labriola
riuscì a pubblicare, tra il ’95 e il ’98, i Saggi intorno alla
concezione materialistica della storia che ebbero un’eco europea anche
per i suoi rapporti con i maggiori esponenti del marxismo continentale,
da Engels ai grandi leaders della socialdemocrazia tedesca. Saggi ai
quali va aggiunto il cosiddetto “quarto saggio”, Da un secolo all’altro,
il più problematico e il più ricco della sua riflessione marxista.
Ma
i rapporti con Croce non si limitarono a questo sostegno editoriale,
che, anzi, scaturiva dal rispetto profondo che il più giovane amico ebbe
per quello che considerò sempre un maestro, anche quando ritenne di
averlo superato e di aver composto in una bara il marxismo teorico
italiano, come dice nell’ottobre del ’99 a Vittorio Racca annunciandogli
la pubblicazione di Materialismo storico ed economia marxistica, con
cui, scriveva, chiudeva «la parentesi marxistica» della sua vita.
Una
lunga vicenda che Croce raccontò in un saggio famoso del 1937: Come
nacque e come morì il marxismo teorico in Italia, di cui proprio
Labriola era stato l’esponente più importante e originale. Aggiunse come
sottotitolo: Da lettere e ricordi personali, volendo così indicare
quanto egli ne fosse stato parte centrale, e come la vicenda del
marxismo teorico italiano si risolvesse, in sostanza, nel rapporto e
nella discussione fra lui e Labriola.
Fu un confronto decisivo per
il maturare delle posizioni della filosofia di Croce, che ebbe per
interlocutore anche Giovanni Gentile, come è testimoniato sia
dall’epistolario di Croce e Gentile sia da quello di Labriola e Croce,
uno dei testi più ricchi, intensi e brillanti di tutta la letteratura
filosofica italiana. Ma proprio da quelle lettere appare quanto fossero
con il tempo diventate profonde, e incomponibili, le differenze tra
Croce e Labriola, e come fossero state deluse anche le speranze che
Labriola aveva posto in Gentile, il quale riconosceva – ed era questo
che Labriola apprezzava – la dimensione filosofica del marxismo, a
differenza di Croce per il quale invece il materialismo storico non era
né «una nuova filosofia della storia», né «un nuovo metodo», ma «una
somma di nuovi dati, di nuove esperienze, che entrano nella coscienza
dello storico». «Di Gentile non m’importa più di approfondire più nulla»
– scrive il 5 gennaio del 1904 nell’ultima, drammatica, lettera a Croce
– «Quello Spirito che non ha niente a che fare con la Natura da cui
risulta e con la Storia... deve essere... un bel Mamozio. Mandamelo come
dono per la Befana».
Studiare Labriola significa dunque porre al
centro dell’attenzione una delle figure più significative e influenti
del pensiero italiano tra ’800 e ’900, al confine tra idealismo,
marxismo, positivismo. Ed è perciò importante rimetterne in circolazione
i testi dopo un periodo di offuscamento, succeduto a una stagione di
maggior fortuna risalente agli anni 70 del secolo scorso: del 1965 è il
volume su La concezione materialistica della storia, a cura di Eugenio
Garin; del 1973 la raccolta degli Scritti filosofici e politici, curati
da Franco Sbarberi; del 1970 sono gli Scritti politici, a cura di
Valentino Gerratana. Erano tutte iniziative che si inquadravano in
un’atmosfera politica e culturale precisa entro cui aveva un peso
importante la presenza, e l’iniziativa, culturale del PCI (su Labriola
si era soffermato con un saggio impegnativo anche Palmiro Togliatti).
La
ripresa dell’interesse per Labriola nasce oggi dall’esigenza di porre
su basi scientifiche rigorose lo studio di una personalità di questo
livello. A questa impostazione risale lo straordinario lavoro fatto da
Stefano Miccolis sul Carteggio pubblicato con il patrocinio
dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici e dell’Università degli
Studi di Napoli L’Orientale. Un’esigenza fatta ora propria dal Comitato
dell’edizione nazionale delle opere di Labriola, al quale, in
collaborazione con l’editore Bibliopolis, si deve la pubblicazione, in
affidabili edizioni critiche, di testi assai importanti: Da un secolo
all’altro. 1897-1903 (a cura di S. Miccolis e A. Savorelli, 2012), Tra
Hegel e Spinoza. Scritti 1863-1868 (a cura di Savorelli e A. Zanardo,
2015) e, da ultimo, la fondamentale prolusione del 1887 su I problemi
della filosofia della storia (a cura di G. Cacciatore e M. Martirano,
2018), uno dei suoi testi più vivaci, ricchi, anche per la sua apertura
in varie direzioni e prospettive.
È un lavoro importante in
duplice senso: mette le basi per guardare, come oggi è necessario, con
occhi nuovi, e da una diversa distanza, alla filosofia italiana tra ’800
e ’900, emancipandosi dalle impostazioni di tipo ideologico che hanno
lungamente condizionato questo tipo di indagini. E permette di
confrontarsi in modi diversi dal passato con Antonio Labriola, pensatore
di primo piano e studioso rigoroso, severo, ironico fino al sarcasmo.
Nella copia del Discorrendo di socialismo e filosofia di cui il 21
ottobre 1903 fece omaggio a Felice Tocco, il grande studioso di Bruno,
si legge una dedica che fa comprendere che uomo fosse e come fosse
capace di guardare con ironia anche a se stesso e al suo lavoro:
«All’amico F. Tocco perché legga dopo tanta filosofia seria della
filosofia spassosa».
I problemi della filosofia della storia 1887. Recensioni 1870-1896
A cura di G. Cacciatore e M. Martirano Bibliopolis, Napoli, pagg. € 35