domenica 16 settembre 2018

Il Sole Domenica 16.9.18
Altro che neutrale: desolato
T.S. Eliot. Una nuova traduzione di «Terra desolata» è l’occasione per parlare dei riferimenti alla guerra e del coinvolgimento del suo autore, a lungo sottovalutato
di Renzo S. Crivelli


Una delle scene centrali della Terra desolata, il poemetto di T.S. Eliot uscito nel 1922 a testimoniare la devastazione morale dell’Europa appena uscita dalla prima guerra mondiale, mostra il London Bridge attraversato dalla folla degli impiegati che si recano al lavoro alla City. In un’atmosfera dantesca vediamo sfilare una massa di individui simili a robot che si muovono verso il tempio della finanza e della ricchezza. «Città irreale,/ nella nebbia bruna di un’alba invernale/ fluiva una folla sul London Bridge, sì lunga/ ch’i’ non avrei creduto, che morte tanta n’avesse disfatta»: così intona Eliot, uno dei massimi scrittori del Modernismo (sperimentatore alla pari di Virginia Woolf e di James Joyce). E quel fluire di anime in pena in cui sono incastonati, con un’operazione di collage intertestuale innovativa, i versi supremi di Dante nel III canto dell’Inferno relativi agli ignavi, ci appare come l’epitome della generazione perduta che si dibatte nell’incertezza.
In quel contesto, infatti, compare una brevissima scena in cui due personaggi, usciti, come accade nella Commedia, dal gruppo delle anime oscillanti, si riferiscono alla tragedia appena terminata. Sono ex soldat i, e uno chiama l’altro Stetson, ricordandogli che erano insieme alla battaglia navale di Capo Milazzo. Presente e passato, come in tutta la Terra desolata, si mescolano qui sovrapponendo, in una prospettiva mitica, la battaglia avvenuta nel 260 a.C. tra romani e cartaginesi a quella dei Dardanelli del 1914-15.
La Terra desolata incarna l’assenza di valori dell’uomo del XX secolo, incapace di saldare la tradizione alla modernità, inconsapevole di quanto il mito alberghi nella cultura occidentale sorda ormai agli insegnamenti della Storia. Eliot, infatti, attraverso una miriade di riferimenti ai rituali e agli archetipi della nostra civiltà ci narra il passaggio dall’ordine fasullo dell’Europa delle nazioni al caos della guerra, fino alla percezione di una rinascita fondata sulla forza del mito rigeneratore. Il mito classico contro il mito della guerra. A quasi cent’anni dall’uscita di questo testo composito, che ingloba un vastissimo panorama di fonti culturali (dalla Bibbia all’English Book of Common Prayer alla Leggenda del Graal al Brihadaranyaka Upanishad, il grande testo induista, passando attraverso Dante, Ovidio, Petronio, Spenser, Shakespeare), ci interroghiamo ancora sulla sua struttura, sulle sue implicazioni filosofiche e storiche, specie alla luce del percorso spirituale dell’autore, che, nato a Saint Louis, abbracciò nel 1927 l’anglo-cattolicesimo naturalizzandosi cittadino britannico. E tutti concordano sulla sua attualità, specie alla luce del centenario della Grande Guerra.
Ben venga dunque una nuova traduzione della Terra desolata, come quella di Aimara Garlaschelli per le Edizioni ETS, che si assomma alle precedenti finendo in buona compagnia, anche se quelle “classiche” di Roberto Sanesi (Bompiani 1961) e di Alessandro Serpieri (Rizzoli 1982) resistono ancora gloriosamente. Garlaschelli, questo va detto, trova ottime soluzioni, più sintetiche e coincise, rendendo bene il ritmo originale. L’unica obiezione, marginalissima, riguarda nel finale la traduzione di «con questi resti ho alzato argini/ alle mie rovine», che tralascia l’originale «fragments» («con questi frammenti…»), eludendo un termine-chiave per capire il poemetto che, nell’intenzione dell’autore, è proprio una ricostruzione di «frammenti» psicologici e culturali.
Tornando ai contenuti, le più recenti letture della Terra desolata evidenziano un aspetto che in passato è stato sottovalutato: il reale coinvolgimento di Eliot nella tragedia della guerra. Si diceva che il poeta fosse troppo neutrale (forsanche perché all’epoca era ancora cittadino americano) e più interessato a una visione culturale del mondo (da qui anche l’accusa di eccessiva erudizione). Ma troppe sono le allusioni trasversali ai campi di battaglia nel poemetto, campi in cui — come si domanda un personaggio — non si rigenera più nulla dopo la devastazione. Ne fa fede la speranza che quei morti, caduti e sepolti sulla Somme, non restino esclusi dal rinnovarsi simbolico delle stagioni (aprile, infatti, è divenuto «il più crudele dei mesi»). Ormai sappiamo che Eliot fu attraversato dalla guerra per via della testimonianza diretta di Maurice Haigh-Wood, fratello della moglie Vivien, che subì uno shock vivendo la degradazione umana di quelle trincee. Non solo ma, come sottolinea Anthony Johnson nell’ampia introduzione, il poeta paga nella Terra desolata un tributo affettivo ad un amico dei tempi parigini, Jean Verdenal, poi arruolatosi nel XVIII Reggimento francese di fanteria immolandosi nei Dardanelli per salvare la vita a un commilitone. E non vi sono dubbi che Eliot, come si è visto, si riferisca proprio a quei Dardanelli nella frase di Stetson, l’ombra dantesca fuoriuscita dalla schiera delle anime perdute sul London Bridge.
La terra desolata, T.S. Eliot, trad. e cura di Aimara Garlaschelli, Edizioni ETS, Pisa, pagg. 146, € 14