Il Sole Domenica 16.9.18
Walter Benjamin
Pessimista prigioniero del suo ingegno
di Armando Torno
La
figura di Gaspar de Guzmán, conte di Olivares e duca di Sanlúcar, oggi
potrebbe evocare la celebre domanda: chi era costui? Eppure, un giudizio
che riguarda questo politico e “privato” di Filippo IV si legge nel V
capitolo dei Promessi Sposi, dove al pranzo di don Rodrigo il podestà
garantisce che di una simile testa «ce n’è una sola al mondo». È
possibile rivederlo al museo del Prado, a Madrid, nella magnifica tela
di Diego Velázquez del 1634, che lo ritrae a cavallo: quadro adulatorio
che rivela ironia e qualche “agudeza” solo all’osservatore paziente.
Aggiungiamo che John H. Elliott, Regius Professor Emeritus di Storia
Moderna a Oxford, gli ha dedicato saggi fondamentali, ricordando tra
l’altro che per raggiungere il suo studio a palazzo si doveva passare in
una galleria alle cui pareti erano stati posti ritratti di pazzi e
buffoni. Uno schema decorativo che il conte duca avrebbe ordinato per
rammentare ai visitatori, pronti a chiedere e a implorare, il disagio
recato dai seccatori, le vanità dell’intelletto, le follie
dell’orgoglio.
Immagini che ci sono venute alla mente rileggendo
la premessa critico-conoscitiva dell’opera di Walter Benjamin Origine
del dramma barocco tedesco, nella parte dedicata al nominalismo dello
storico Konrad Burdach, noto per la sua tesi che sosteneva una
continuità tra Medioevo e Rinascimento, contrariamente a Jacob
Burckhardt. Benjamin prende atto, con precisazioni e distanze, che il
tanto amato “uomo del Rinascimento” è solo una maschera, così come crea
confusione l’ottocentesco ”uomo gotico”, mentre l’”uomo barocco”
necessita la chiamata in causa di Shakespeare. Fantasmi, insomma, a cui
Benjamin fa seguire un quesito: «Come sono andate davvero le cose?»; e a
tale interrogativo aggiunge le parole: «Scientificamente non può
trovare soluzione, ma soltanto essere posto».
L’Origine del dramma
barocco tedesco è un libro denso, che non recò sperate fortune
accademiche al suo autore, ma non si ferma al mondo barocco, giacché
questioni e considerazioni coinvolgono il pensiero del Novecento, con
richiami a Benedetto Croce e, tra gli altri, a Carl Schmitt. Ne è appena
uscita una nuova traduzione presso Carocci; o forse è meglio chiamarla,
per gli apparati e le attenzioni poste, l’edizione italiana che si
attendeva, anche se tale opera si legge nella nostra lingua dal 1971,
dopo la pubblicazione nella prima serie della Pbe Einaudi realizzata da
Enrico Filippini con introduzione di Cesare Cases. Questa di Carocci è
stata tradotta da Alice Barale, la prefazione si deve a Fabrizio
Desideri, che è anche il supervisore dell’intero lavoro. Va notato che
del titolo originale tedesco, Ursprung des deutschen Trauerspiel, si
rende l’ultimo termine (non facilmente traducibile), seguendo una
consuetudine, con “dramma barocco”; a volte con “dramma”.
In
margine al libro, ormai un classico del ‘900, notiamo che Alice Barale
ha lavorato sul testo della prima edizione del 1928 (una nota informa
sulle differenti versioni) e che Benjamin è riproposto e studiato
continuamente. Per esempio, oltre le Opere complete in catalogo da
Einaudi, Castelvecchi ha appena editato Esperienza e povertà, dove sono
raccolti quattro saggi; Morcelliana, invece, dello stesso Fabrizio
Desideri ha pubblicato il saggio Walter Benjamin e la percezione
dell’arte, il cui primo capitolo si intitola Teoria del nome,
Trauerspiel, Passage.
Già, Benjamin: è bene leggerlo per capire il
nostro tempo. Di lui disse l’amico Gershom Scholem: «Essenzialmente un
puro e semplice metafisico, attirato da soggetti che con la metafisica
avevano poco o nulla da spartire».
Origine del dramma barocco tedesco Walter Benjamin Carocci Editore, Roma, pagg. 460, € 43