Il Sole Domenica 16.9.18
Isaac Newton e la religione. Fu
matematico, fisico, alchimista e straordinario studioso di testi sacri.
Ma l’aspetto dominante della vita fu la fede
La luce di Dio sulle leggi della natura
di Arnaldo Benini
«La
natura e le sue leggi erano nascoste nella notte. Dio disse: Newton
sia! e ovunque fu luce». Il distico del poeta Alexander Pope, quasi
coetaneo di Newton, testimonia il prestigio di cui godeva lo scienziato.
Per il poeta William Wordsworth, Newton era stato una mente eterna,
solitario viaggiatore per mari sconosciuti. La mente che ha portato luce
con esplosioni creative straordinarie in fisica, ottica, astronomia e
matematica, antesignano dell’illuminismo per il rigore razionalistico
della sua ricerca, per trent’anni ha viaggiato per la maggior parte del
tempo e dell’impegno nei mari sconosciuti degli studi del paganesimo, di
cronologia della Bibbia, di teologia, di storia delle religioni, di
testi di padri della Chiesa, di Cabbala e di riti ebraici. Soprattutto a
partire dalla fine degli anni ’70 del XVII secolo egli sentiva spesso
la scienza, o filosofia naturale, così allora si chiamava, come
fastidiosa intrusione nelle ben più importanti ricerche e riflessioni
teologiche. John Locke era sbalordito delle sue conoscenze bibliche.
Altro
campo di studi cui si dedicò con intensità fu l’alchimia, di cui
possedeva la maggior raccolta di testi e manoscritti in Europa. John
Maynard Keynes, studiando manoscritti alchemici inediti di Newton
acquistati in un’asta nel 1936 e poi lasciati al King’s College di
Cambridge, avrebbe esclamato che Newton non era il primo degli
scienziati ma l’ultimo dei maghi, dei Babilonesi e dei Sumeri. Sorpresa
che si prova ancor oggi leggendo i suoi testi alchemici. Anni di
esperimenti inutili con il mercurio ed altri veleni ne minarono
verosimilmente la salute fisica e mentale. In Clavis, ad esempio, egli
insegna come produrre un amalgama d’antimonio, mercurio, argento e oro
capace di sciogliere tutti i metalli.
Il poderoso,
dettagliatissimo e meraviglioso libro di Rob Iliffe, storico
dell’Università di Oxford che più d’ogni altro conosce i manoscritti
inediti in inglese e in latino di Newton, documenta, con un’informazione
sterminata, come la sua vita sia stata «pervasa da un predominante
intento religioso». La spinta alla ricerca, alchemica, astronomica,
matematica e fisica, allo studio storico-religioso e alla teologia, era
la volontà di capire come Dio agisse nel mondo. Già le monografie su
Newton di F.E. Manuel (The religion of Isaac Newton del 1974) e di
Richard S. Westfall (Never at Rest A Biography of Isaac Newton del 1980)
avevano trattato l’argomento, ma non con la profondità di Iliffe, anche
perché la maggior parte dei manoscritti d’argomento religioso sono
accessibili da una quindicina d’anni. La fede cristiana fu l’aspetto
fondamentale della sua vita.
A partire dai tardi anni ’70 era
conscio d’essere arch-heretic. I testi religiosi, tranne poche
eccezioni, non furono dati alle stampe dall’autore perché l’eresia,
nell’Inghilterra protestante, era quasi altrettanto pericolosa che nei
paesi dell’Inquisizione. Più tardi gli scritti furono considerati frutto
di ossessioni, e forse della mente indebolita. Su di loro si stese un
imbarazzato silenzio, per secoli. Essi contribuiscono alla comprensione
di meandri poco conosciuti di una delle menti più straordinarie e del
fondamento culturale e morale di tutto il suo immenso lavoro.
Ricercando
la natura di Dio, Newton visse nell’antinomia, spesso atroce, fra la
fedeltà alla Chiesa d’Inghilterra e ciò che gli studi gli rivelavano
oltre ogni dubbio: che la Trinità, indiscutibile per cattolici e
protestanti, era in realtà una diabolica frode che aveva introdotto il
politeismo e l’idolatria nella fede cristiana. Centrale era la seconda
persona della Trinità, Cristo. Tardo seguace del padre della chiesa
Arius, considerava Cristo figlio di Dio, ma non uguale a Dio.
L’originale purezza del Vangelo era stata contaminata dall’elevazione di
una creatura di Dio, Cristo, all’altezza di Dio. Dobbiamo adorare
Cristo, diceva Newton, come Signore, ma non violare il primo
comandamento («Non avrai altri dèi davanti a me»). L’idolatria pervase
la vita della Chiesa portando alla venerazione dei santi e del pane
nell’Eucarestia. Colpevole massimo era Atanasio, che nel concilio di
Nicea del 325 d.C. aveva corrotto la Chiesa facendole accettare l’unità
della sostanza di Dio e di Cristo, per Newton il massimo dell’apostasia.
Essa aveva indotto, con una consequenzialità quasi ossessiva non facile
da capire, perversioni come il voto di celibato, la vita monastica, i
privilegi del clero e la crescita a dismisura dell’autorità papale.
Per
Newton il cattolicesimo romano era la maggior minaccia religiosa e
politica del suo tempo. Da un millennio e mezzo la Cristianità, compresa
la Chiesa d’Inghilterra, era nella morsa di un inganno idolatrico e
fatale propagandato da preti e monaci fraudolenti. I molti scritti su
Cristo ribadiscono che Cristo non è Dio, ma un profeta, il Messia e il
più importante dei messaggeri di Dio, nella scia dei profeti da Mosè in
poi.
C’è chi sospetta che Newton si considerasse uno di loro,
intento alla lotta contro l’idolatria, le superstizioni, l’irrazionalità
e la corruzione religiosa. Difficile crederlo, dato che delle sue
radicali convinzioni arcieretiche non fece parola con nessuno, anche
perché, come minimo, sarebbe stato cacciato dalla cattedra di matematica
del Trinity College di Cambridge, come accadde al suo successore
William Whiston, quando si professò antitrinitario. Newton non aveva la
vocazione e l’abnegazione del profeta e del propagatore di verità
scomode e pericolose. Si professò sempre devoto alla Chiesa
d’Inghilterra. Quando non c’era più nulla da temere, rifiutò l’estrema
unzione.
Se Dio ha creato il mondo, esso è il suo tempio e coloro
che lo studiano, per Newton, sono sacerdoti della natura. Egli si
riteneva un accademico cristiano. Profonda convinzione, che legò la
ricerca naturale, anche nella versione alchemica, alla riflessione
teologica. A quest’aspetto fondamentale della cultura newtoniana Iliffe
dedica molte delle pagine fra le migliori. L’infinita estensione dello
spazio della concezione astronomica newtoniana è congruente con
l’esistenza immateriale e infinita di Dio. Gli uomini sono creati a sua
immagine, e nella mente umana sono presenti in modo attenuato le
caratteristiche divine.
La riflessione su come la mente
immateriale possa muovere il corpo potrebbe aiutarci a capire, per
Newton, come Dio, puro spirito, agisca sul mondo fisico. E qui si mise
nei guai, pizzicato anche dall’eterno rivale Leibniz. L’universo
infinito, scrisse nella prima versione del De Gravitatione, è il
Sensorium grazie al quale Dio, incorporeo, è onnipresente nella sua
creazione. Di un analogo, ma ben più modesto Sensorium, disporrebbero le
anime umane per comunicare con i corpi. Una convinzione che Newton,
accusato d’eresia materialistica spinoziana, attenuò, sostenendo che Dio
era presente nella creazione come se l’universo fosse il suo Sensorium,
revisione assai ambigua alla quale Leibniz non credette.
In uno
dei manoscritti acquistati da Keynes, Newton aveva scritto, poco prima
di morire, che gli sembrava «di essere stato solo un fanciullo che gioca
sulla riva del mare [dove lui, si tramanda, non era mai stato] e si
diverte a trovare, ogni tanto, un sassolino un po’ più levigato o una
conchiglia un po’ più graziosa del solito, mentre il grande oceano della
verità si estende inesplorato dinanzi a me»: meravigliosa parafrasi di
una mente che, avendo cercato per tante strade la verità, aveva compreso
che essa è irraggiungibile.
ajb@bluewin.ch
Priest of Nature. The Religious Worlds of Isaac Newton, Rob Iliffe
Oxford University Press, Oxford, UK, pagg. 522, € 29,19