il manifesto 8.9.18
Germania, l’estrema destra dell’Afd primo partito nei sei Land della ex Ddr con il 27%
Ombre
brune. La clamorosa realtà è stata fotografata all’autorevole sondaggio
dell’istituto Infratest-Dimap per conto dalla tv pubblica Ard
di Sebastiano Canetta
BERLINO
L’incubo nero nell’ex lembo rosso della Germania. Per la prima volta i
fascio-populisti di Alternative für Deutschland sono il primo partito
nei sei Land della ex Ddr dopo il sorpasso sulla Cdu. La clamorosa
realtà è stata fotografata ieri dall’autorevole sondaggio dell’istituto
Infratest-Dimap per conto dalla tv pubblica Ard. Un’istantanea più che
inquietante che restituisce il trend più temuto dalla maggioranza quanto
dall’opposizione. Dal Mecleburgo-Pomerania alla roccaforte Sassonia, il
27% dei tedeschi è già pronto a barrare la croce di Afd sulla prossima
scheda elettorale. Sono ben il 4% in più di chi è rimasto fedele al
partito di Angela Merkel congelato a quota 23%, mentre la Linke vale il
18% e la Spd appena il 15.
Tradotto, significa che la lieve
perdita di consenso dell’ultra-destra negli Stati dell’Ovest è stata
ampiamente compensata dal boom nella Germania orientale. Anche che la
“caccia allo straniero” a Chemnitz (negata ieri dall’intelligence
federale), così come l’allarme dei servizi segreti della Turingia su
Afd, hanno sortito l’esatto contrario dell’effetto immaginato.
Così,
senza più anticorpi, la Bundesrepublik precipita nella spirale di odio e
xenofobia alimentata – prima ancora che dai fascio-populisti – dal
ministro dell’interno Horst Seehofer. Convinto che «l’immigrazione è la
madre di tutti i problemi politici della Germania» come ha ribadito
giovedì nell’intervista al quotidiano Rheinische Post. Una sparata in
linea con lo sfascismo che il leader cristiano-sociale persegue dal
giorno dopo l’insediamento del quarto governo della cancelliera Merkel,
costretta a ribattere in tempo reale all’ennesima provocazione del
“ministro della Paura” di Monaco.
«La penso diversamente:
l’immigrazione presenta sfide e problemi ma ci sono anche i successi»
replica “Mutti”, sempre più alle corde fuori e dentro al ring della
Grande coalizione. Solo gli alleati Spd sembrano difendere la sua
vecchia “Wilkommenpolitik”, peraltro naufragata nelle pagine del
contratto di governo che dà luce verde ai famigerati “centri di
ancoraggio”, allo stop ai ricongiungimenti familiari e alle espulsioni
rapide.
«Seehofer è il nonno di tutti i problemi politici di
Berlino» è la risposta del giovane segretario generale dei
socialdemocratici, Lars Klingbeil. Mentre la Linke, per bocca del
capogruppo Dietmar Bartsch, riassume l’ennesima baruffa tra
democristiani ricordando come l’unica madre delle rogne del Paese
rimangano «l’ingiustizia e le guerre nel mondo».
Poco importa al
ministro Seehofer, il cui orizzonte politico restano le elezioni in
Baviera fissate al 14 ottobre, dove si preannuncia il minimo storico dei
consensi per la Csu “padre-padrone” del Land da oltre mezzo secolo. Lì
si gioca la battaglia di sopravvivenza del partito cattolico ridotto
ormai al 36%, schiacciato a destra da Afd (14% nella rilevazione Insa
della scorsa settimana) e a sinistra da Verdi e Spd (rispettivamente 15 e
13%).
Fuori dall’agone della politica, riemerge il problema
istituzionale. Da mesi, Afd si muove al limite del dettato
costituzionale flirtando pubblicamente con i neonazisti e con i
“patrioti” islamofobici di Pegida. «C’è una crescente erosione della
linea di demarcazione tra i diversi gruppi dell’ultra-destra» denuncia
Stephan Kramer, capo dell’antenna della Turingia del controspionaggio
Bfv. Sul suo tavolo spicca il voluminoso dossier con dichiarazioni, post
e tweet dei dirigenti di Afd. A partire dal responsabile della
Turingia, Björn Höcke, che continua a negare l’Olocausto.