venerdì 7 settembre 2018

il manifesto 7.9.18
Il cortocircuito tra rivolta esistenziale e politica
«Indiani metropolitani», una ricerca del giovane storico Andreas Iacarella, pubblicata da Red Star Press
di Benedetto Vecchi


Sul movimento del ’77 si è scritto molto, oscillando tra memorialistica e incursioni storiografiche, individuando quell’anno – e quegli eventi – come uno snodo centrale negli anni Settanta. Il nodo da sciogliere è la continuità o meno con il Sessantotto e con le culture politiche del movimento operaio, sia quelle maggioritarie che quelle eterodosse. Accanto a ciò un’altra costellazione di temi: la violenza, il ruolo dell’autonomia operaia, le trasformazioni sociali dell’Italia, la crisi economica, l’ingresso sulla scena pubblica di figure lavorative anomale e che, per condizioni e collocazione produttiva, diventeranno più evidenti nei decenni successivi.
IN POCHI HANNO PROVATO a elaborare materiali sugli indiani metropolitani, fenomeno rilevante nei primi mesi del Settantasette. Irriverenti, ironici, facevano il verso ai pellerossa delle riserve statunitensi, perché i giovani universitari e studenti erano relegati proprio in una sorta di riserva indiana non solo dal grande partito comunista, ma anche dalle organizzazioni delle formazioni politiche rivoluzionarie formatasi negli anni Settanta. Sull’«area creativa» alcuni si sono cimentati. La critica d’arte Claudia Salaris o l’artista Pablo Echaurren, le pagine scritte da Marco Crispigni, ma gli indiani metropolitani erano considerati fenomeno a latere.
CHI VUOLE METTERLI al centro della scena è un giovane storico, Andreas Iacarella che, all’epoca dei fatti, non era neppure nato. Questo non gli impedisce di considerare gli anni Settanta un buco nero nella storiografia contemporanea. Così, partecipando a un concorso organizzato a Bologna dal collettivo autonomo universitario e dalla Fondazione Francesco Lorusso, ha presentato un percorso di ricerca che la casa editrice Red Star Press ha poi pubblicato nel volume Indiani metropolitani (pp. 274, euro 20).
L’AUTORE DICHIARA subito la sua insoddisfazione per i libri degli storici mainstream sul Settantasette. Non crede che ci sia stato solo nichilismo, disperazione esistenziale e violenza. Ma non nasconde il suo fastidio neppure per la memorialistica dei protagonisti di allora e delle rimozioni che le costellano, cioè la cancellazione della dimensione esistenziale che si celava dietro la scoperta di autori e lessici politici estranei al marxismo più o meno ortodosso.
Gli indiani metropolitani sono l’incarnazione appunto dell’antipsichiatria, della scoperta del corpo, dell’underground europeo, della lettura frettolosa dei francesi (Foucault, ma anche Deleuze e Guattari). Ironici, dissacranti, stritolati dagli autonomi, che cercano di imporre con la violenza la loro visione e politica, scrive Iacarella senza intenti moralistici. Già qui c’è un cortocircuito di troppo. I confini tra autonomia e indiani metropolitani è sfumato, come testimoniano le scene bolognesi e romane. L’indiano metropolitano era colui che cacciava Lama dall’Università e poi ballava attorno a un improvvisato totem; poteva partecipare agli scontri con la polizia e poi farsi una canna, ascoltando musica psichedelica. Come gli autonomi era cioè insofferente alle forme codificate della politica organizzata.
Pure la dimensione esistenziale vede il movimento sperimentare, dilaniarsi, litigare ferocemente al suo interno. Stabilire confini netti tra creativi e militanti tozzi non aiuta certo la ricerca storiografica. In fondo, Primo Moroni già allora scriveva che il movimento era un mixer tra rivolta esistenziale e rivolta politica. Merito del Settantasette è aver tentato di saldarli assieme, molto più che il Sessantotto.
IL LIBRO SI FA LEGGERE, alternando narrazione a analisi dei testi teorici di quegli anni. Sulla dimensione esistenziale (il disagio individuale e collettivo), l’autore introduce un aspetto che mal si accosta con ciò che accadeva allora. Il riferimento è a Massimo Fagioli, alle sue sedute terapeutiche collettive, considerate allora come una forma di manipolazione e di recupero borghese dell’insorgenza del movimento. Che alcuni partecipanti alle terapie siano stati successivamente bene, sta nell’ordine della terapia psicologica, ma mettere in tensione Massimo Fagioli con gli indiani metropolitani è però un azzardo mal riuscito.