il manifesto 6.9.18
A Utoya il testacoda della democrazia
Venezia
75. In concorso «July 22» di Paul Greengrass sul terribile eccidio
sull'isola norvegese da parte del neonazista Anders Breivik
di Silvana Silvestri
VENEZIA
Un corretto esempio di cinema civile, anche se convenzionale nella sua
costruzione è il film in concorso 22 July del regista inglese Paul
Greengrass che racconta la strage avvenuta il 22 luglio 2011 nell’isola
di Utoya compiuta dal neonazista norvegese Anders Breivik dopo aver
fatto esplodere un’autobomba di fronte al parlamento di Oslo. Il film si
concentra soprattutto sul funzionamento della democrazia e
dell’ordinamento giudiziario in Norvegia e per riflesso nel nord Europa a
dimostrare la superiorità culturale di fronte a qualunque estremismo.
I
77 morti e il centinaio di feriti sono il prologo agghiacciante per
concentrarsi poi sulle vicende giudiziarie del «Capitano dell’ordine di
Malta» che si considerava un soldato in missione di guerra per
sterminare liberali, marxisti e figli della classe dirigente, i futuri
leader di un paese diventato troppo multiculturale, guerra solitaria
scatenata per riprendere il controllo della Norvegia. Il regista di
Bloody Sunday sui fatti di Derry nel 1972, e altri successi di pubblico
come Bourne Supremacy, Jason Bourne, sul funzionamento dei servizi
segreti in Inghilterra, si basa in questo caso sul libro di Åsne
Seierstad, Uno di noi, la storia di Anders Breivik dove conseguenze,
elaborazione del lutto e situazione processuale sono il centro del
racconto.
Storie di impatto ancora più forte dopo aver assistito
nella prima settimana della mostra a film dove la costante violazione
dei diritti civili era la norma in più di un paese latino (Italia,
Argentina, Brasile, Messico…). Breivik appena arrestato è subito messo
in contatto con il suo avvocato, con un medico, con gli psichiatri che
potrebbero anche far sospendere la pena detentiva. Le domande che si
pone la gente comune di fronte al massacro, il diritto alla difesa sia
pure di un mostro, il corretto svolgimento del processo sono la chiave
del film che vuole mostrare la superiorità della democrazia liberale,
aperta e multiculturale. «Il cinema – ha spiegato in conferenza il
regista – può mostrarci amore e meraviglia, ma qualche volta deve
guardare con coraggio e risolutezza il mondo così com’è, come si muove,
dove va e come possiamo affrontarlo. Sono partito da questa idea per
raccontare questa terribile vicenda».