il manifesto 5.9.18
Salute e libertà, il Garante tutela i pazienti in TSO
di Grazia Zuffa
I
pazienti psichiatrici sottoposti a Trattamento Sanitario Obbligatorio
(Tso) sono protetti dalla vigilanza del Garante nazionale delle persone
private della libertà personale, come ricorda la recente Relazione al
Parlamento dello stesso. Di più.
Il controllo sui luoghi e sulle
condizioni in cui si svolgono i Tso è segnalato come settore di
intervento nuovo e privilegiato, insieme ad altri nello stesso ambito
sanitario: riguardanti soggetti deboli (anziani come disabili), che,
dietro lo schermo delle pretese cure, rischiano di scivolare in
situazioni di limitazione o privazione della libertà.
È
un’indicazione che merita grande attenzione. L’impegno del Garante apre
una nuova prospettiva in tema di salute e libertà, atta a svelare
situazioni lesive della dignità delle persone, nascoste sotto l’ombrello
rassicurante della «cura».
Il Trattamento Sanitario Obbligatorio
poi è questione particolarmente delicata, legata com’è alla concezione
del malato mentale, tuttora in evoluzione. La privazione della libertà è
stata il cardine del modello manicomiale, per i soggetti «pericolosi a
sé e agli altri». Il passaggio al modello terapeutico, centrato sul
«malato da curare» alla pari di altri, non ha sciolto del tutto le
ambiguità.
La «normalizzazione» del paziente psichiatrico si
scontra col residuo di approccio manicomiale, connesso all’idea della
«compromissione della capacità di intendere e decidere su di sé» quale
caratteristica portante della patologia stessa.
La stessa
concezione all’origine della compressione dei diritti, secondo cui per
questi malati non potrebbero valere le stesse regole di competenza e
responsabilità legali dei non malati di mente.
Dunque, la ribadita
volontà del Garante di esercitare i propri compiti di vigilanza sul Tso
è un grande contributo nel processo di normalizzazione dell’assistenza
psichiatrica: richiama tutti, le autorità sanitarie e gli operatori in
primo luogo, a considerare l’obbligatorietà della cura come una assoluta
eccezione al principio costituzionale che stabilisce la libertà della
persona di non sottostare alle cure (art.32). Se non per dispositivo di
legge, come prosegue lo stesso articolo.
Ma il rinvio alla legge
va inteso come garanzia alla persona rispetto alla straordinarietà della
procedura, e non come viatico alla ordinarietà della stessa.
Su
questa linea garantista, la Relazione offre osservazioni e suggerimenti
importanti: dall’allarme per la carenza di dati certi, all’invito a
riflettere se alcuni reparti «a porte chiuse» (di stile segregativo)
«siano tali da assicurare la tutela dei diritti fondamentali»; alla
sottolineatura della perniciosa sovrapposizione e confusione fra
obbligatorietà del trattamento e contenzione (quanto mai indicativa di
cascami di cultura manicomiale); fino alla richiesta di istituire un
Registro Nazionale dei Tso, dove trovare informazioni fondamentali a
garanzia dei diritti.
Circa la contenzione, sono riprese le
raccomandazioni del Comitato Nazionale di Bioetica alle autorità
sanitarie, perché attivino programmi per la riduzione fino al
superamento della contenzione e predispongano indici di qualità dei
servizi, promuovendo le pratiche no restraint, nei reparti che abbiano
rinunciato ad applicare la contenzione.
Sono indicazioni corpose
che presuppongono un lavoro capillare nei territori, di vigilanza, ma
anche di interlocuzione con le autorità preposte, dagli assessori
regionali alla Sanità, ai responsabili sanitari delle Asl e dei
dipartimenti di Psichiatria.
L’attivazione della rete dei Garanti regionali è perciò fondamentale.
Mi
permetto un suggerimento: perché non iniziare il confronto con le
autorità citate proprio su quanto ha scritto il Garante delle persone
private della libertà?