il manifesto 5.9.18
Svezia, il vecchio «paese avanguardia» pronto a invertire il corso della propria storia
Scenari
post-elettorali. Anche se l’economia è buona, aumentano le
diseguaglianze tra la popolazione. A trarne profitto potrebbero essere
le destre
Una fabbrica della Volvo
di Paolo Borioni
Giungono
pessimi segnali dalla Svezia. Anche qui nei sondaggi la destra
nazional-populista straborda, e pare possa sferrare un doppio colpo
letale al sistema politico. I socialdemocratici perderebbero il primo
posto che detenevano senza rivali da quando, nel 1918, era stato
introdotto il suffragio universale, rompendo il lunghissimo dominio di
un voto censitario particolarmente retrogrado. Anche il maggiore partito
liberal-conservatore, i Moderaterna, tracolla al 15%, ed è dubbia la
presenza in parlamento di un altro partito di centro-destra come i
Cristiano-Democratici, sotto la soglia di sbarramento al 4%.
A
SINISTRA solo la formazione post-comunista Vänsterpartiet pare
recuperare voti. Uno sconvolgimento, con gli Sverigedemokraterna primi
al 25% e una situazione ingovernabile con qualunque parametro
coalizional
e finora immaginato. Per alcuni la storia europea è
semplice: i nordici sono costituzionalmente pacifici, nonché
tendenzialmente illuminati e progressisti, i mediterranei il contrario.
La realtà è che fino agli anni 1920 l’emigrazione è stata obbligatoria
per circa il 20% di una popolazione povera quanto la nostra, con un
dominio di classe fortissimo e, fino agli anni ’30, la situazione
sociale e sindacale più turbolenta in Europa, con conflittualità aspra e
non di rado violenta.
LE COSE MUTARONO del tutto solo nel 1934,
con l’accordo fra socialdemocratici e partito contadino, fino a quel
momento molto conservatore se non reazionario. La questione sociale unì
contadini e operai in un compromesso in cui la domanda interna degli uni
costituì quella degli altri e viceversa. La grande depressione fu
sconfitta e cominciò la storia della Svezia avanguardia
socialdemocratica del mondo, fra il comunismo di cui rifiutava
l’oppressione (anche e soprattutto operaia) e il capitalismo, in cui
vedeva la diseguaglianza come ingiustizia non riparabile dalle libere
elezioni.
Secondo qualificate misurazioni gli indici di
eguaglianza così ottenuti finirono negli anni 1980 per essere i maggiori
della storia, verosimilmente minori che nelle società comunitarie
primitive. Ma con gli anni 1990 molto è cambiato, non per il meglio. Da
allora l’incremento di diseguaglianza registrato ovunque è stato in
Svezia il maggiore fra i paesi avanzati. La crescita annuale del Pil è
molto buona, i surplus di bilancio e commercio estero nettamente
positivi, ma si dimostra che se il segno positivo è importante, la
qualità e la distribuzione ineguale della crescita e la fissazione per
la riduzione del deficit sono letali, non solo per la sinistra. I
socialdemocratici, al governo la maggiore parte del tempo dal 1991,
dando la priorità ai conti pubblici non hanno davvero ribaltato le
misure introdotte dai governi «borghesi» (1991-94 e 2006-2014).
L’ultimo
governo di centro-destra, come molti liberal-conservatori e
liberal-progressisti, ha ritenuto che precarizzazione del lavoro e
riduzione del welfare a segnali di mercato (New Public Management)
fossero compatibili con l’apertura verso centinaia di migliaia di
profughi in aggiunta ad un 20% già presente di popolazione con
retroterra non svedese. Famoso il discorso dell’ultimo primo ministro
liberal-conservatore Reinfeldt, che descrivendo da un velivolo una
Svezia con tanto spazio per innumerevoli nuovi arrivi esortava i
connazionali: «aprite i vostri cuori». Proprio mentre l’incoraggiamento
dell’utile individualistico assurgeva al massimo livello.
UN DATO
INTERESSANTE: secondo uno studio del grande sindacato confederale LO
(Högerpopulismen och jämlikheten: Populismo di destra ed eguaglianza) la
diffidenza verso l’immigrazione non è aumentata. A crescere è la
quantità di persone che la ritengono tema tanto prioritario da
infrangere le lealtà politico-elettorali. Così, lo scatenamento
d’intolleranza (dall’accondiscendenza per l’aggressività degli
Sverigedemokraterna, ai linciaggi in rete di Durmaz, calciatore di
origine aramaica reo di un errore ai danni della nazionale giallo-blu ai
mondiali) potrebbe essere visto in modo nuovo.
Più che
prendersela con la «ignoranza del popolo», come semplicisticamente si fa
in Italia (ma il degrado avviene anche nella scolarizzata Scandinavia)
la Svezia che va a destra mostra che i sindacati e i partiti come la
socialdemocrazia riescono a «far riflettere» i propri elettori solo se
le loro politiche rimangono centrali. Solo così la smettono di ritrarsi
dal proprio spazio argomentativo, solo così riducono quello di altre
argomentazioni ed ossessioni. D’altra parte, il centro-destra
liberal-conservatore classico può vincere sgravi fiscali iniqui e
privatizzazioni del welfare, ma solo finché il fondamento
«socialdemocratico» rimane abbastanza cospicuo da bilanciarli.
Oltre
questo limite anche le classi medie declinano e «sragionano«. E anche
la Svezia può invertire il corso della propria storia.