martedì 4 settembre 2018

il manifesto 4.9.18
Budapest 1913, uno spettro si aggira per l’Europa
Venezia 75. In concorso l'opera seconda di Laszlo Nemes «Napszallta (Tramonto)»
di Silvana Silvestri


VENEZIAUno spettro si aggira per l’Europa e prende la forma innocente di una elegante modista nel film Napszallta (Tramonto) di Laszlo Nemes. Angelo sterminatore, nemesi storica, spirito del tempo, incede per tutta la durata del film rendendoci partecipi di eventi che stanno per accadere, non si sa quando né come. Siamo nel 1910, la Belle Epoque illumina la vita della Mitteleuropa, di Parigi, di Vienna e di Budapest, la luce elettrica sfida le tenebre e le prime tramvie corrono sui binari accanto alle carrozze a cavallo. Irisz Leiter (Juli Jacab) arriva da Trieste a Budapest in quella che era stato la prestigiosa casa di mode Leiter, fabbrica di cappelli appartenente alla sua famiglia, poi andata distrutta in un incendio e rilevata dal nuovo proprietario. Non c’è posto per lei nella fabbrica, neanche come erede virtuale, neanche per la sua abilità nel lavoro, né per la sua signorilità. Accompagnata alla porta e al treno, lei ritorna al negozio e continuerà a non ascoltare nessuna indicazione, nessuna oscura minaccia. Infine accolta tra le altre modiste, mantiene la sua totale indipendenza nel cercare qualcosa e qualcuno, forse un passato che dovrebbe spiegare il futuro, un fratello assassino di cui viene a conoscenza.
Nel suo incedere, ripresa di spalle come a trasportarci inesorabilmente nelle pieghe di una società dedita ai piaceri simbolicamente rappresentati dai lussureggianti cappelli di piume e nastri, paglie e sete, fibbie e ricami, la camera cambia la soggettiva e la riprende in primo piano, sguardo limpido a rivelare una mente fervida, poi attenta e determinata, via via sempre più minacciosa con la sua sola presenza. Fissa sullo spettatore ad avvertirlo, ammonirlo. Il suo passaggio apre la visione di ogni angolo della città, i palazzi regali dove si aprono ferite e si intuiscono misteri, le strade costeggiate dai palazzi che evocano i fasti antichi della città, i bassifondi così come si trovano nelle pagine di Molnar. Chi abbia visto fino agli anni Ottanta i grigi palazzi cadenti di Budapest ancora colpiti dai proiettili non solo della guerra potrà cogliere questa audacissima sovrapposizione della memoria.
Un intreccio crescente di muti riferimenti letterari e congelate referenze cinematografiche riempiono di echi stupefacenti il procedere senza sosta, coreografie preparate con cura, della protagonista che sta inesorabilmente testimoniando con la sua sola presenza o con l’interazione tenuta a distanza degli altri personaggi, la fine di un’epoca e l’affacciarsi di un futuro spettrale a cominciare dalle trincee della Grande guerra. Come nel Figlio di Saul (vincitore di un premio Oscar che ha riportato l’attenzione sul cinema ungherese), un singolo individuo concentra su di sé tutto lo spirito del tempo, anche in questo. Con Tramonto Irisz annuncia una tragedia epocale, accompagna lo spettatore che si sia lasciato condurre mettendo in moto i suoi riferimenti ad affacciarsi sull’orlo del precipizio.
Ideato prima del Figlio di Saul, il nuovo film ha avuto una lunga gestazione: «Ho cercato di trovare il mistero di quello che è successo all’inizio del XX secolo – spiega Nemes, come sia stato possibile che delle società tanto sofisticate, ricche di opere d’arte e di invenzioni, possano essere precipitate nella distruzione. Ci chiediamo se in questa epoca siamo di fronte a una analoga situazione: in quel tempo sembrava esserci un’aspettativa di qualcosa che dovesse succedere, qualcosa di buono, qualcosa di violento. Così come anche oggi riponiamo la fiducia nelle macchine e il nostro futuro sembra essere sempre più qualcosa di virtuale».