martedì 4 settembre 2018

il manifesto 4.9.18
Brasile, la memoria bruciata
Beni culturali. Il Museo nazionale di Rio de Janeiro, il più antico e tra i più importanti del Paese, è stato divorato dalle fiamme. Poco si sa ancora sulle cause dell'incendio, ma la trascuratezza e i tagli alle risorse di Temer hanno reso possibile la tragedia
di Claudia Fanti


È una sorta di metafora del Brasile l’incendio che ha ridotto in cenere il Museo nazionale di Rio de Janeiro, il più antico del Paese e il quinto più grande al mondo per la collezione esposta.
Inaugurato nel 1818 dal re del Portogallo Giovanni VI e attualmente amministrato dall’Università federale di Rio (Ufrj), il museo vantava oltre 20 milioni di pezzi: dall’arte egizia a quella greco-romana (passando per quella africana e pre-colombiana), dalla geologia alla zoologia, da una delle più grandi librerie del Paese, con 470mila volumi e oltre 2mila opere librarie rare, fino alla ricchissima sezione dell’archeologia brasiliana. È qui che si trovava il più antico fossile umano scoperto in Brasile, uno dei più importanti reperti del continente: il cranio di Luzia, una donna di 20-25 anni vissuta nella regione circa 12.000 anni fa, rinvenuto nel 1974 a Lagoa Santa, nello Stato di Minas Gerais. «Non potremo mai più vederlo. Luzia è morta nell’incendio», ha affermato Kátia Bogéa, presidente dell’Instituto do Patrimônio Histórico e Artístico Nacional: «Non c’è modo di ricostruire questo patrimonio. È distrutto, distrutto per sempre. Abbiamo perso la nostra memoria e la nostra storia».
Di origine ancora sconosciuta, l’incendio, iniziato intorno alle 19.30 ora locale di domenica, mentre il museo era chiuso al pubblico, non ha causato vittime. Ma, mentre i vigili del fuoco sono al lavoro per recuperare i pezzi non raggiunti dalle fiamme, pare che abbia risparmiato molto poco. «Sono andati persi duecento anni di lavoro, ricerca e conoscenza», ha dichiarato il presidente Michel Temer, parlando di «un giorno tragico per il Brasile». Ma si è trattato – e questo si è ben guardato dal dirlo – di una tragedia annunciata.
La situazione critica del museo, che aveva celebrato il suo bicentenario lo scorso 6 giugno, era infatti nota e anche piuttosto evidente, tra infiltrazioni alle pareti e fili elettrici esposti: 10 delle sue 30 sale di esposizione erano chiuse, comprese alcune delle più popolari, come quella che ospitava lo scheletro di un dinosauro rinvenuto nella regione di Minas Gerais, interdetta al pubblico dopo un attacco di termiti. Per consentirne la riapertura, il museo aveva persino lanciato una campagna di finanziamento pubblico, raccogliendo 40mila reais (sui 50mila previsti).
Ma il colpo di grazia, per il Museo Nazionale è venuto dalla politica di smantellamento dello stato sociale portata avanti dal 2016, cioè dall’insediamento del presidente de facto Michel Temer in seguito al golpe contro Dilma Rousseff. E, in particolare, dall’approvazione della Pec 95, il contestatissimo emendamento costituzionale che ha congelato per 20 anni la spesa pubblica, anche in settori come l’educazione, la scienza e la tecnologia. Uno scempio che ha significato per il Museo Nazionale di Rio de Janeiro addirittura un taglio dell’85% dei finanziamenti.
Ma se Temer ha fatto finta di niente limitandosi a piangere la «perdita incalcolabile», ancora meglio ha fatto il ministro della Cultura Sergio Sá Leitao, cercando di scaricare la responsabilità sui governi precedenti. Riconducendo l’incendio ad «anni di negligenza», il ministro ha affermato che era pronto a partire un progetto di rilancio, ma che non ci sarebbe stato abbastanza tempo per realizzare gli interventi necessari ed «evitare la tragedia». E ha concluso con una lezioncina finale al Paese: «Che questo serva da lezione perché tragedie così non si ripetano in altri musei e in altre istituzioni».
È tuttavia un diluvio di critiche quello si è abbattuto sul governo da parte di personalità del mondo culturale e politico. «Quanto è avvenuto – ha dichiarato il direttore del Teatro Niemeyer Alexandre Santini – dimostra che è il Brasile intero a essere in fiamme e che è necessario agire con urgenza». Di un «duro colpo alla scienza nazionale» ha parlato il fisico Luiz Davidovich, docente della Ufrj, puntando il dito contro la negligenza delle autorità sul terreno scientifico. E sulla scienza brasiliana che sta andando a pezzi ha posto l’accento anche il fisico Ildeu Moreira, presidente della Sociedade Brasileira pelo Progresso da Ciência: «La possibilità che avvengano disastri come questo non fa che aumentare. Il patrimonio brasiliano viene distrutto ogni giorno dall’incuria».
«L’incendio – ha immediatamente denunciato Dilma Rousseff in un tweet – è il ritratto della trascuratezza e dei tagli» che hanno caratterizzato l’azione di Temer, dell’ex ministro dell’economia Henrique Meirelles (dimessosi per candidarsi alla presidenza della Repubblica) e del Psdb, il Partido da Social Democracia Brasileira. «Nel Paese dei ’tagli-a-tutto’ dei golpisti, che congelano per 20 anni gli investimenti sulla salute, sull’educazione e sulla cultura, compromettendo il futuro dei brasiliani – ha proseguito la presidente deposta -, anche il passato è trasformato in cenere. Il golpe tenta di trasformare la nostra storia in terra bruciata».
E non è mancato chi ha fatto notare che, se l’incendio è avvenuto ad appena 24 mesi dalla Pec 95, il provvedimento che ha messo un tetto per due decenni alle spese del governo per i servizi pubblici, non è neppure immaginabile cosa potrà avvenire nei prossimi 18 anni. A meno che, è chiaro, il governo che uscirà dalle elezioni del 7 ottobre non riesca a trarre in salvo la cultura, la scienza, la memoria e l’intero Paese.