La Stampa 4.9.18
Alex Sabbadini
L’ebreo con la Leica che fotografava i documenti fascisti
di Ariela Piattelli
Unavoidable
Hope: la storia di Alessandro Sabbadini. I fascisti lo cacciarono
dall’esercito italiano con le leggi razziali. Tornò a combatterli da
uomo libero con la divisa dell’esercito americano. Unavoidable Hope è il
libro di Roger Sabbadini, che racconta la storia del padre Alessandro,
«Alex» per i suoi compagni d’avventura.
Alessandro aveva 23 anni
quando ha lasciato l’Italia nel ’39, dopo l’emanazione delle leggi
razziali fu congedato senza onori dall’esercito perché era ebreo. Arrivò
negli Stati Uniti per diventare un Ritchie Boy, un soldato dell’U.S.
Army addestrato ad interrogare il nemico e ricavare informazioni
preziose. L’avvincente racconto di Sabbadini inizia quando il sergente
Alex sbarca con gli alleati ad Anzio nell’operazione Shingle il 22
gennaio del ’44. Dalla spiaggia vede a Nettuno Villa Silvia, la
residenza estiva di famiglia, oramai deserta.
Sono passati quasi
cinque anni da quell’addio a Roma, e da allora non ha più avuto notizie
dei suoi cari. Alex, che già aveva preso parte allo sbarco in Sicilia e
ha combattuto in Nordafrica, arriva con l’incarico di esaminare i
documenti del nemico e di fotografare ogni cosa. Sono pochi i soldati
muniti di macchina fotografica, sta a lui documentare tutti gli
avvenimenti come un vero reporter. Nella villa di famiglia mette il
quartier generale dell’intelligence e dei Documents Men, ci sono 70
chilometri e migliaia di truppe nemiche da affrontare che lo dividono da
Roma e dal conoscere il destino della sua famiglia, la strada è lunga e
piena di pericoli. Ciò che lo spinge è la volontà di combattere contro i
nazifascisti e l’inevitabile speranza di arrivare a Roma e di ritrovare
salvi i parenti.
Ci vorranno lunghi mesi prima che Alessandro
riesca a raggiungere la famiglia, ma la storia non finisce qui, e si
sposta nel Nord Italia, dove gli alleati danno la caccia a Benito
Mussolini. «Papà fu uno dei primi ad entrare a Roma a giugno del ‘44,
perché la sua unità era sempre in testa. – spiega l’autore – Dei suoi
famigliari non sapeva nulla, e quando li riabbracciò fu un momento pieno
di emozione. Dopo Roma andò a combattere al Nord, gli americani
volevano catturare Mussolini».
Quando Alex arriva a Gargnano, sul
Lago di Garda, Mussolini era già in fuga. Entra per primo nel quartier
generale del dittatore in Villa delle Orsoline. «Alex e i Documents Men
arrivarono davanti alla scrivania di Mussolini. Era perfetta, intatta,
c’erano oggetti personali, fotografie, una montagna di documenti e un
tagliacarte. In genere i nemici sapevano distruggere i documenti prima
della fuga, ma Mussolini non ebbe tempo».
Sta al sergente
Sabbadini e alla sua squadra studiare e catalogare tutto il materiale
raccolto. Nell’album del veterano ci sono le fotografie delle scatole
traboccanti di documenti di Mussolini: «Alex aveva tutto il necessario
per un soldato, ma la sua arma più importante era la Leica con la quale
ha documentato ogni cosa». Assieme al racconto della storia di
Alessandro Sabbadini, nel libro c’è il ritratto di una famiglia ebraica
italiana. «Volevo raccontare la storia della mia famiglia e del coraggio
di chi l’ha salvata. Dopo la guerra papà tornò a vivere negli Stati
Uniti. Come molti veterani della Seconda guerra mondiale, era un uomo
modesto, e non voleva parlare della sua esperienza da soldato. Un giorno
trovai una grande scatola, con un album fotografico titolato War As I
Knew It, tantissimi documenti, e l’uniforme dell’esercito. Lui aveva già
80 anni, ho preso una telecamera e l’ho intervistato per sei ore».
È
così che Roger Sabbadini ha scritto il libro, «che è anche la storia
degli ebrei italiani in quel periodo – conclude – perché qui in America,
come in altri Paesi, sono in pochi a conoscerla».