il manifesto 29.9.18
I confini e le sovranità necessarie alla retorica del capitalismo
Europa
fronte del conflitto. L’organizzazione e la divisione tra Stati è
un’eredità del passato che il capitalismo riattualizza facendone forse
l’arma più efficace del suo successo di classe
di Piero Bevilacqua
Ma
davvero, al livello cui è giunta l’economia mondiale, avremmo ancora
bisogno di «crescere»,«correre», «competere», se l’umanità non fosse
divisa in stati, con le loro frontiere e le loro bandiere? Avremmo
ancora bisogno di «andare avanti», cioè di accumulare ulteriore
ricchezza, se ciascuno non perseguisse per sé, l’obiettivo che è comune,
vale a dire il benessere di tutti? Osservata da una prospettiva che
prescinda dagli stati nazionali, questa costruzione storica che ancora
decide il destino dell’umanità, il meccanismo che ispira il capitalismo
del nostro tempo, appare in tutta la sua tragica assurdità. Che bisogno
c’è ancora di crescere se ogni anno vanno al macero 1, 3 miliardi di
tonnellate di cibo, rimangono invendute, solo in Europa, decine di
milioni di auto e un numero imprecisato viene quotidianamente rottamato,
se l’iperconsumo fa crescere di anno in anno rifiuti e discariche in
ogni angolo del pianeta, e una nuova micidiale spazzatura – la
cosiddetta e-waste, la spazzatura elettronica – va divorando sempre
nuovi territori, tanto nei paesi ricchi che in quelli poveri?
E
QUALE RAZIONALITÀ SEGRETA sorregge questa corsa all’infinito, dal
momento che per alimentarla, stiamo distruggendo la vita dei mari,
saccheggiando le risorse idriche del pianeta, avvelenando le terre
fertili, inquinando l’aria, riducendo la biodiversità naturale,
alterando irreversibilmente il clima? A che fine questa corsa l’un
contro l’altro stato, se essa condanna una parte estesa dell’umanità
alla disoccupazione e alla precarietà, alla polverizzazione della vita
sociale, al ritorno del lavoro schiavile anche nelle campagne ?
È
EVIDENTE che l’organizzazione e la divisione tra stati è una eredità del
passato che il capitalismo del nostro tempo – grande stratega nelle
mosse di dominio sull’umanità – riattualizza facendone forse l’arma più
efficace del suo successo di classe. Dunque è sufficiente porre mente a
questo stato di cose per scorgere oggi l’inanità della lotta politica
tutta interna ai vincoli dei singoli stati nazionali. Restando chiusi
dentro questi confini i partiti politici operano come zelanti servitori
delle retoriche capitalistiche, accentando una insuperabile subalternità
al capitale industriale e finanziario, libero di muoversi senza limiti
di frontiere e di bandiere.
NON È CERTO UN CASO che da quando è
scomparso dalla scena del mondo l’antagonista globale rappresentato dal
comunismo, mostro burocratico, ma pur sempre «mostro», questo modo di
produzione va celebrando i fasti più distruttivi della sua storia,
contro il lavoro e contro gli ecosistemi della Terra. E non è vero che a
impedire oggi il conflitto di classe sia la destrutturazione
postfordista del lavoro di fabbrica. È la limitatezza territoriale della
lotta operaia e popolare di fronte allo spazio di movimento mondiale
del capitale. Ma mai come oggi la logica della crescita fa tutt’uno con
la distruzione degli equilibri della Terra, offrendo alla sinistra
l’opportunità egemonica di far coincidere il riscatto dei subalterni con
la salvezza del pianeta. È evidente che senza una forza di
contrapposizione di ampiezza sovranazionale, capace di colpire il
capitale nei suoi interessi vitali, la politica riformista ha la potenza
del graffio del gatto.
LA SPAZIO POLITICO dell’Unione europea è
dunque lo spazio minimo in cui pensare un’azione politica in grado di
una qualche efficacia, come hanno efficacemente argomentato su questo
giornale Luciana Castellina (14/ 9 e Marco Bascetta, 22/9). Del resto,
quel che può ancora oggi la politica di fronte ai colossi dell’economia,
l’ha mostrato proprio l’UE con le recenti sanzioni a Microsoft e
Google. Sappiamo bene che è arduo modificare i trattati neoliberisti che
reggono l’impalcatura dell’Unione, ma il fronte della lotta oggi è
questo continente, non le retrovie nazionali.
Esattamente per tale
ragione, occorre dire che i vari tentativi oggi in corso di resuscitare
il centro-sinistra costituiscono velleità da scansare. L’operazione
avrebbe la stessa possibilità di tenuta del ponte Morandi ricostruito
con le macerie oggi nel greto del Polcevera. Non si costruisce nulla di
solido con le rovine di un edificio, per giunta mal costruito. E non c’è
modo più serio di liberare le forze avanzate e riformatrici attive in
quell’ambito che dichiarare solennemente chiusa quella esperienza.
MA
TALE POSIZIONE chiede alla sinistra radicale una serietà e un senso di
responsabilità che finora sono mancati. Il tentativo di Varoufakis – uno
dei pochi leader politici che ha conoscenza profonda dell’Unione – e di
altri dirigenti di Diem (una trama transnazionale con un organico
programma per le elezioni europee) deve essere colto dalla varie sigle
della nostra sinistra come una grande occasione di unificazione in un
momento grave della storia d’Europa. Potere al Popolo, Sinistra
Italiana, Rifondazione, Possibile non possono più continuare il loro
irresponsabile gioco a scacchi.