il manifesto 28.9.18
L’adulterio non è più reato in India. Però lo Stato può spiare tutti
Sentenza.
La Suprema corte modernizza i costumi e la società ma dà il via libera
al governo al sistema di archiviazione dei dati biometrici Aadhaar
Festival delle letterature di Jaipur
di Matteo Miavaldi
Nella
giornata di ieri la Corte suprema indiana, a poche settimane dalla
depenalizzazione dei rapporti omosessuali nel Paese, ha pronunciato una
nuova sentenza storica dall’alto valore simbolico, questa volta
stralciando dal codice il crimine di adulterio.
Secondo una legge
di epoca vittoriana ancora in vigore in India, un uomo accusato di
consumare rapporti sessuali fuori dal matrimonio rischiava fino a 5 anni
di detenzione più pena pecuniaria. Accogliendo la petizione di un
imprenditore indiano, che si era rivolto alla massima Corte indiana
denunciando il carattere discriminatorio della legge, un pool di cinque
giudici ha sancito la depenalizzazione dell’adulterio, sostenendo che i
tradimenti, nell’India di oggi, sono materia per avvocati divorzisti e
non rientreranno più nel novero del codice penale.
La legge,
promulgata 158 anni fa in piena epoca coloniale, conteneva plateali
elementi sessisti e discriminatori: la donna non solo non poteva
denunciare il marito adultero, ma non veniva considerata nemmeno agente
attivo nell’ipotetico tradimento. Con la controparte femminile
totalmente oggettivata, il tradimento diventava questione esclusivamente
maschile: un uomo che aveva abusato della proprietà di un altro uomo.
A
questo proposito il giudice Dipak Mishra, a capo dell’intera Corte
suprema, in aula ha spiegato che «il marito non è il padrone della
moglie. Le donne dovrebbero essere trattate al pari degli uomini».
La
stampa locale ha ricordato che la legge in materia di adulterio
raramente è stata applicata fino all’incarcerazione degli imputati, ma
spesso veniva usata come strumento per danneggiare la reputazione di uno
dei due coniugi in istanze di divorzio. I condannati in via definitiva
per adulterio sono talmente rari che non esistono dati statistici in
merito.
La sentenza è stata accolta positivamente da gran parte
dei media nazionali, andando a rinforzare la convinzione diffusa negli
ambienti progressisti indiani circa il ruolo positivo svolto dalla Corte
suprema nell’evoluzione della società e dei costumi indiani
contemporanei. In particolare, in un Paese dove la discriminazione
sessuale e le violenze contro le donne sono ancora due questioni
enormemente problematiche in India, la conferma del principio di
uguaglianza tra uomo e donna offerta dalla Corte suprema è
particolarmente incoraggiante.
Sull’entusiasmo incondizionato per
l’operato della massima Corte sorgono però alcuni dubbi, tenendo in
considerazione la serie di sentenze emesse nelle ultime settimane. Se i
pronunciamenti su rapporti omosessuali e adulterio sono stati accolti
molto positivamente dall’opinione pubblica, la scorsa settimana la
medesima Corte ha di fatto dato il proprio consenso all’entrata in
vigore, risalente all’anno scorso, del , il più grande database
governativo di dati biometrici al mondo. Nonostante Aadhaar sia stato
denunciato da diversi attivisti indiani come un enorme strumento di
controllo e violazione della privacy, la Corte – pur depotenziandone
alcuni aspetti – con una sentenza a favore del governo lo ha
sostanzialmente appoggiato. E tra poco più di un mese, i giudici saranno
chiamati a pronunciarsi sul caso della moschea di Ayodhya, demolita nel
1992 da centinaia di estremisti hindu: vicenda che rischia di
esacerbare ancora di più la contrapposizione tra ultrahindu e musulmani
nel Paese.