il manifesto 28.9.18
Curare le ferite della sinistra e ripartire senza bandierine
Sinistra.
Fare paura per rispondere alle paure. Il ministro di polizia alimenta
l’onda nera. Va respinta trovando nuove idee e parole lontane dal gergo
di una sinistra esplosa
di Marco Revelli
Giorno
dopo giorno vediamo gonfiarsi la nube nera che in parte ha già occupato,
la nostra esangue democrazia. Ha il volto rozzo di un ministro di
polizia e una voce potente che dice di essere vox populi.
Divora e
dissolve ogni giorno un pezzo del nostro patrimonio civile:
l’universalismo dei diritti, il principio di reciprocità e il rispetto
per l’altro, il primato della legge e la certezza del diritto, la
memoria storica dei nostri orrori e dei nostri peccati travolta
dall’urlo roco “prima gli italiani”… Ha divorato anche, in 100 giorni,
il proprio partner di governo, riducendone ai minimi termini l’audience,
colonizzandone il linguaggio, ridimensionandone l’agenda. Oggi il
governo gialloverde, il governo Conte, è per i più il governo Salvini,
che vede crescere nei sondaggi il proprio capitale elettorale perché
dimostra di saper occupare tutta la scena e soprattutto di essere
“forte” (dunque credibile). La Forza è tornata a essere risorsa politica
principale. Non la Ragione. Non la Giustizia. Nemmeno l’Onestà. Nessuna
delle classiche virtù repubblicane. Ma la semplice, nuda, ostentata
Forza (la risorsa primordiale di ogni comando), messa al servizio della
Paura. Della capacità di far paura come risposta alle paure diffuse nel
“popolo”: non ai loro bisogni, non ai loro diritti lesionati, ma a
quelle paure su cui Salvini galleggia, e intende galleggiare a lungo.
Diciamocelo
pure. A Matteo Salvini di risolvere il problema delle migrazioni, di
ridurre l’insicurezza dei cittadini, di levare dalla strada le figure
che a quell’insicurezza danno corpo, non gliene può fregare di meno.
Anzi, lavora per diffonderla e aggravarla. Il decreto che porta il suo
nome va esattamente in questa direzione: le parti più oscene del suo
dispositivo (la riduzione ai minimi termini dei permessi umanitari, lo
smantellamento di fatto degli Sprar, il taglio della spesa per
“integrare”) renderanno meno controllabile e più “inquietante” quella
massa di poveri tra i poveri, come appunto inquietante è tutto ciò che
non è pienamente riconoscibile e integrabile in procedure condivise. Ne
spingeranno una parte nell’ombra e nel “mondo di sotto”. Garantiranno
manodopera a poco prezzo per la criminalità più o meno organizzata. E
permetteranno alle sue camicie verdi di continuare a capitalizzare su
quel magma informe e sul disagio che ne consegue (la profezia che si
auto-adempie).
La sentiamo venire quell’onda nera. E ne siamo
spaventati, perché sappiamo che è già stato e per questo è possibile.
Siamo già caduti: noi, l’Europa… Basta leggere l’incipit della quarta di
copertina dell’ultimo libro di Scurati M. Il figlio del secolo – «Lui è
come una bestia: sente il tempo che viene. Lo fiuta. E quel che fiuta è
un’Italia sfinita, stanca della “casta” politica, dei moderati, del
buonsenso» -, per sentire un brivido nella schiena. Parla della
resistibile ascesa di Benito Mussolini al potere. Sappiamo cosa
significa – lo vediamo in cronaca -, ma non sappiamo come resistere. Le
nostre parole suonano stracche. Parlano a noi, se va bene. Ma non alla
massa che lo segue come la tribù segue lo sciamano che ne esorcizza i
terrori. Quella segue le “sue” parole, che non ammettono repliche perché
sono vuote di senso ma hanno un suono profondo (hanno l’opacità della
pietra), non esprimono ragionamenti ma sentimenti, umori, rancori di
quanti si sentono “traditi” e per questo non credono più a nessun altro
linguaggio che non sia quello della vendetta, del cinismo e del ripudio
dei propri stessi antichi valori (le tre maledizioni che James Hillmann
associa alle risposte perverse a un tradimento subito).
Riportarli
al “lume della ragione” – organizzare una qualche Resistenza – vorrebbe
dire in primo luogo tentare di curare quella ferita. Risarcire e
riparare. Dovrebbe essere questa la strada per erodere quel seguito
limaccioso su cui prospera il fascino indiscreto del Demagogo. Ma per
far questo occorrerebbe un nuovo linguaggio, lontano dal gergo stantio
di una sinistra esplosa. E soprattutto una nuova forma di pensiero: un
pensiero non omologato, non ripetitivo del recente passato, non conforme
ai dogmi del pensiero unico fino a ieri dominante. Anche questo
dobbiamo dircelo con chiarezza: l’opposizione che oggi viene
“dall’alto”, l’opposizione dei columnist dei principali giornali,
l’opposizione di Repubblica, del Corriere, de La Stampa, così come
quella di Bankitalia, della burocrazia ministeriale, dei banchieri e dei
finanzieri è benzina sul fuoco populista. Non è richiamando i vincoli
di bilancio e le tavole di calcolo di Bruxelles. Il “rigore dei numeri” e
della matematica in contrapposizione al “linguaggio magico” degli altri
(così ieri su La Stampa). Difendendo la privatizzazione financo dei
ponti crollati o la legge Fornero nella sua (crudele) integrità. Ed
erigendo a eroi i commissari europei messi a guardia della loro
austerità, che si prosciugheranno quei bacini dell’ira. Non è difendendo
l’ Europa così com’è che si eviterà il contagio.
È, al contrario,
lavorando con umiltà e senza velleità di primogeniture alla costruzione
di un fronte ampio trans-nazionale, europeo, di forze determinate a
combattere l’austerità e l’avarizia matematica in nome di un reale
programma di redistribuzione della ricchezza e di restituzione dei
diritti ai lavoratori e ai cittadini, riconoscendo e denunciando i
“tradimenti” consumati e le assenze più o meno colpevoli. C’è chi ci sta
lavorando. Auguriamoci che lo faccia assumendo un pensiero largo, senza
recinti né bandierine.