Corriere 28.9.18
La scelta della forzatura
Dura da tempo il logoramento nei confronti di Tria. La maggioranza ha voluto imporre la superiorità dei «politici» sui «tecnici»
di Massimo Franco
Sono
settimane che il Movimento 5 Stelle indica il suo ministro
dell’Economia preferito. E il nome che viene fatto non è mai quello di
Giovanni Tria. Si tratta di un esercizio di logoramento quotidiano nei
confronti di colui che è diventato, suo malgrado, simbolo della tenuta
dei conti pubblici; ma è anche un indizio di nervosismo. Quando infatti
si chiede come mai la maggioranza non lo cambi, la risposta è che «per
ora» non si può. Per questo, l’unica manovra che Luigi Di Maio può
tentare, assecondato in maniera sorniona dal vicepremier della Lega,
Matteo Salvini, è di incalzare Tria; di piegarlo perché realizzi la
«manovra del popolo» del Movimento. Con il rischio che la corda si
spezzi, però. Decidere che bisogna sfondare il tetto del 2% nel rapporto
tra deficit e Prodotto interno lordo è una sfida non solo a lui ma
all’Europa e ai mercati finanziari. E il fatto che la maggioranza si sia
riunita prima con il premier Giuseppe Conte, Di Maio e Salvini senza di
lui e senza il ministro agli Affari europei, Paolo Savona, segnala una
volontà prepotente di imporre la superiorità dei «politici» sui
«tecnici». Il sottinteso è un «prendere o lasciare» che implica due
possibilità, per Tria: cedere o dimettersi. La soddisfazione espressa
ieri sera tardi da Di Maio e Salvini per l’intesa raggiunta al 2,4% è
una vittoria controversa. Il rischio di screditare la manovra
finanziaria sul piano internazionale è più concreto. L’Italia si espone
alla speculazione finanziaria e a un declassamento del suo debito. Il
sospetto, tuttavia, è che ai contraenti del «governo del cambiamento»
queste incognite importino meno dei calcoli elettorali. L’ossessione di
Di Maio è il fronte interno ai 5 Stelle, che lo aspetta al varco ed è
pronto a sfruttare ogni suo passo falso. Sono i settori che considerano
perdente la competizione con Salvini; che non hanno gradito i pasticci e
i ritardi sulla ricostruzione del ponte crollato a Genova un mese e
mezzo fa; e che volevano vedere se riusciva a portare a casa il reddito
di cittadinanza. Ci è riuscito, e lo comunica trionfalmente. D’altronde,
solo una strategia della forzatura può soddisfare il grosso di chi ha
votato M5S e Carroccio assecondando la vulgata di un nuovo inizio e
della fine del vecchio ordine. Che un sistema sia finito è indubbio. Ma
il nuovo inizio per ora è una miscela di improvvisazione e di
esasperazione a tavolino dei toni. Si discuta di conti pubblici,
elezioni al Csm, vincoli con l’Unione Europea, la maggioranza attacca e
recrimina. Cerca lo scontro per legittimare contraddizioni e divergenze
nelle sue file. Ma il prezzo da pagare rischia di essere molto alto. A
forza di vedere nemici immaginari, spunteranno quelli veri. E i
«numerini», come li definiscono con disprezzo nell’esecutivo, si
prenderanno una rivincita: non tanto su Movimento 5 Stelle e Lega, ma
sulle famiglie e sulle imprese italiane.