il manifesto 26.9.18
Donne in carcere, come mettere le relazioni al centro
Fuoriluogo.
La tragedia di Rebibbia evidenzia quanto sia carente una cultura delle
relazioni. In Italia, in carcere non esistono luoghi per favorire
l’affettività e per incontri riservati con il compagno/la compagna.
Domina invece la retorica della maternità
di Grazia Zuffa
Sulla
tragedia di Rebibbia, della detenuta che ha ucciso i figli, anche
troppo si è detto. E troppo si è fatto (da parte del ministro) alla
facile ricerca di colpevoli: la sospensione di alcune dirigenti, a parte
i dubbi di merito esposti nella lettera appello di tante associazioni,
rischia di allontanare una seria riflessione sul problema dei bambini
delle donne detenute. Su questo vorrei prendere parola. Cominciando ad
affrontare la questione dal verso giusto: che non è quello della
«detenuta madre» come caso speciale. E neppure è quello dei «diritti dei
bambini», per quanto fondamentali siano. Poiché i bambini avrebbero
diritto sia a stare fuori dal carcere sia a vivere con la madre.
Gli
sforzi normativi si sono finora mossi proprio nell’ambito dei due
diritti dei bambini che la detenzione pone in conflitto (cercando di
rendere più accettabile una vita «dentro» e/o più accessibile una vita
«fuori» dal carcere). Ma i limiti di tale approccio sono evidenti più
che mai, se non si affronta il nodo della detenzione femminile (prima
che della maternità in carcere); della pena carceraria come risposta
pervasiva a pressoché tutti i tipi di reati (che nei fatti vanifica le
norme «speciali» a favore delle madri detenute); dell’inflazione del
penale (con previsione di pene molto alte anche per reati non violenti,
come quelli di droga). E, in ultimo, ma assai importante, se non si fa
di più perché le detenute (ma anche i detenuti) possano mantenere le
loro relazioni affettive e svolgere per quanto possibile le loro
funzioni genitoriali quando i bambini vivono lontani. In una ricerca di
qualche anno fa fra le detenute in Toscana (consultabile nel volume
Recluse, Ediesse, 2014), se la separazione dai cari emergeva come il
fattore di sofferenza più importante, dolorosa era anche la percezione
che i rapporti coi figli fossero gestiti in una logica di concessione
«premiale» più che di diritto, in ogni caso «non incentivati come
dovrebbero essere», per dirla con una delle donne intervistate.
Sembra
cioè carente una cultura delle relazioni, prova ne è che in Italia non
siamo ancora riusciti a avere in carcere luoghi per favorire
l’affettività e per incontri riservati con il compagno/la compagna. Al
suo posto domina una retorica della maternità. Che non può non giocare
contro la donna autrice di reato, di per sé sospetta di essere «cattiva
madre». Può perciò capitare che alcune richieste di detenute per avere
contatti coi figli siano respinte per presunto «uso strumentale» delle
norme a favore della maternità. Così il vaglio dei giudici si muta in
una sorta di Tribunale Morale, che nei fatti vanifica le disposizioni
speciali. Di recente, una giurista attiva nel sostegno legale alle
detenute mi riferiva un caso esemplare di tali contraddizioni: una donna
condannata a una pena molto severa aveva tenuto il bambino con sé in
carcere per molti anni, ma poi la lunghezza della pena li aveva
separati, con molto dolore per entrambi, e il bambino era stato dato in
affidamento. Non solo non le era stata concessa alcuna alternativa per
evitare la separazione, ma aveva aspettato due anni prima di avere un
permesso per vedere il figlio.
Il Tavolo sulla detenzione
femminile degli Stati Generali, nel 2016, ha offerto indicazioni
preziose, da quelle più generali «di una consistente de-carcerizzazione…
e una forte depenalizzazione», unita a un allargamento delle
alternative al carcere e a un uso maggiore di quelle esistenti; fino a
suggerimenti puntuali, quali la «previsione di luoghi adatti
all’esercizio dell’affettività e della sessualità», l’ampliamento
dell’Ordinamento Penitenziario perché le donne possano partecipare a
momenti fondamentali della vita dei figli. Il ministro e il Parlamento
possono prenderle finalmente in considerazione?