il manifesto 25.9.18
Brexit, Corbyn non esclude un secondo referendum
Gran
Bretagna. Il tema sarà al centro del congresso laburista che si apre
domenica a Liverpool. Con May ormai sull’orlo del precipizio, il partito
si prepara anche a possibili elezioni anticipate
di Leonardo Clausi
LONDRA
Temperatura Brexit sempre al calor bianco in Gran Bretagna. Più che mai
dopo la distratta sufficienza con cui le proposte di Theresa May per
un’uscita cerchiobottista del paese dall’Ue – il cosiddetto «accordo
Chequers» (dal nome della residenza estiva dei Primi ministri
britannici: manterrebbe il Paese allineato con gli standard europei su
merci e generi alimentari) -, sono state accolte dai 27 al summit di
Bruxelles della scorsa settimana. Una sufficienza che ha provocato la
reazione stizzita della premier, che ha preteso «rispetto» dai partner
europei in un successivo discorso tonante nella forma, flebile nella
sostanza. Dopotutto l’accordo le era costato/valso la dipartita di
ministri come David Davis e Boris Johnson.
NON CHE NEL PARTITO
laburista dell’era Corbyn, riunito in congresso a Liverpool da domenica,
le cose vadano lisce. Anche lì c’è stata una guerra civile, benché a
differenza di May – ostaggio delle frange più illuse, deluse e confuse
della destra e dei loro farfuglii neovittoriani – Corbyn, la sua, sembra
averla vinta. La deliberata (e mascalzona) confusione fra antisionismo e
antisemitismo cui la destra laburista si è stolidamente aggrappata pur
di ostacolare la «deriva» socialista di un partito che per la prima
volta nella sua storia ha avuto il fegato – e lo stomaco – di
dissociarsi dalla politica estera israeliana, sembra finalmente
cominciare a sbiadire, benché di danni ne abbia fatti eccome. Il fatto
che i deputati ebrei che gridano ai pogrom nel partito siano tutti dei
moderati, dovrebbe risparmiare un’oltremodo oziosa analisi del problema.
Ma
resta un altro contendere, quello sull’ormai fantomatico (perché
somigliante agli avvistamenti «scientifici» degli Ufo) secondo
referendum, che i liberal eurobritannici invocano come se potesse
invertire la catastrofe ecologica nella quale il capitalismo ci sta
menando. Ebbene Corbyn, che da bravo veterosocialista inglese è
euroscettico nel Dna, sta dando segni di aver recepito l’importanza
tattica – se non di aprire – di socchiudere la porta ad un possibile
secondo referendum. Perché socchiudere?
PUR AVENDO FIN DALL’INIZIO
dichiarato di voler rispettare l’esito del referendum, presumendo, non
del tutto scorrettamente, che i vagheggiamenti di un’Europa senza
confini fossero appannaggio di una classe media orfana della terza via
blairiana – una «terza via preferenziale» per la quale la disuguaglianza
ha sfrecciato gioconda dagli anni 80 in poi – e soprattutto dopo la
succitata figura barbina di May a Salisburgo, la prospettiva di
un’uscita senza paracadute del Paese dall’Ue è più realistica che mai.
CON
IL PROFILARSI minaccioso delle file chilometriche di Tir a Dover e dei
razionamenti di generi alimentari tipici di un assedio bellico, per
tacere della perdita di posti di lavoro che i sindacati – suoi alleati
imprescindibili – ovviamente paventano, Corbyn ha ammesso che ora si
rimetterà alla decisione dei membri del partito (il più grande d’Europa
con circa 500 mila iscritti da quando lui è al timone) riguardo al
cosiddetto «voto popolare» (People’s vote) su Brexit.
Si
tratterebbe di un voto sull’accordo che May sarà in grado di siglare con
la controparte europea e di cui il Parlamento (composto per la
maggioranza di remainers bipartisan) rivendica la ratifica. Una linea
che ora si affianca a quella originale della dirigenza del partito:
agevolare – e vincere – le prossime probabili elezioni anticipate che
potrebbero portare il socialismo del XXI secolo di Corbyn al potere in
un’Europa che, dove non si sta consegnando al neofascismo del XXI
secolo, è vittima, come la Francia, del deja vu macroniano (Macron e
Blair: trova le differenze).
AL CONGRESSO si è dunque scatenata
una ridda di mozioni (più di 140) in questo senso, compresa quella di un
secondo referendum. Anche se John McDonnell, ministro ombra delle
finanze, in un’intervista alla Bbc, preferisce distinguere: un simile
voto dovrebbe essere sui termini dell’accordo siglato da May e non
sull’opzione di una permanenza nell’Unione europea. Come si evince dal
testo della mozione, messa ai voti ieri in serata: «Se non possiamo
ottenere elezioni anticipate il Labour deve sostenere tutte le opzioni
rimaste sul tavolo, compresa una campagna per un voto pubblico».