il manifesto 25.9.18
Cina, la lista dei preti sarà approvata dal partito comunista
Accordo Cina-Vaticano. La Chiesa clandestina ora grida al tradimento e al rischio scisma
di Luca Kocci
Per
gli oppositori di papa Francesco e per alcuni settori della Chiesa
«clandestina» cinese è un cedimento, anzi un «tradimento» alla Cina
comunista. Per gli estimatori invece è un grande successo della
diplomazia vaticana e dello stesso pontefice. Sicuramente l’accordo
«provvisorio» tra Santa sede e Repubblica popolare cinese sulla nomina
dei vescovi, firmato sabato scorso a Pechino dai viceministri degli
esteri vaticano (mons. Camilleri) e cinese (Wang Chao), apre una nuova
pagina nei rapporti tra Cina e Vaticano, congelati dal 1951.
Dopo
la proclamazione, da parte di Mao, della Repubblica popolare, nel 1958
viene creata, con l’appoggio del governo, l’Associazione patriottica
cattolica cinese, da cui nasce una sorta di Chiesa ufficiale, che ordina
vescovi non riconosciuti e automaticamente scomunicati dal Vaticano.
Parallelamente si sviluppa una Chiesa clandestina, con vescovi fedeli a
Roma. Fra gli aderenti alle due comunità vi sono contatti e
sovrapposizioni, ma di fatto in Cina esistono due Chiese.
L’accordo
«provvisorio» del 22 settembre stabilisce una procedura unica per la
scelta dei vescovi. Il testo resta segreto, così da poterlo modificare
senza clamori. Tuttavia l’iter dovrebbe essere il seguente: i candidati
vengono selezionati nelle diocesi, il governo concede la propria
approvazione, infine il papa consacra i vescovi. Se strada facendo c’è
qualche intoppo, si azzera tutto. In questo modo il papa è il solo a
consacrare i vescovi ma il governo mantiene un controllo sui nomi. Una
mediazione in cui entrambi gli attori concedono qualcosa ottenendo
qualcos’altro e che potrebbe porre fine alla duplicazione delle Chiese e
portare alla «pace» fra Roma e Pechino.
È un «tradimento, si
rischia uno scisma», tuona il cardinale Zen, arcivescovo emerito di Hong
Kong, punto di riferimento della Chiesa clandestina, fortemente critico
verso il riavvicinamento alla Cina perseguito da Francesco. Zen spara a
zero anche sulla segretezza dell’accordo: la Santa sede ci dice
«abbiate fiducia in noi, accettate quello che abbiamo deciso», dichiara
ad Asia news, ma «accettare ed obbedire senza sapere nulla? Obbedire
“come un cadavere”, secondo la regola dei gesuiti?».
«Questo
accordo sarà un segno di speranza e di pace in un mondo in cui
continuano a costruirsi muri», commenta in maniera entusiastica padre
Spadaro, direttore di Civiltà Cattolica e vicinissimo a papa Francesco.
Il segretario di Stato, cardinal Parolin, regista dell’operazione,
spiega il senso dell’accordo anche alla luce della realpolitik: «C’è
bisogno di pastori che siano riconosciuti dal papa e dalle legittime
autorità civili cinesi», in questo modo le «Chiese locali godranno
condizioni di maggiore libertà, autonomia e organizzazione». Il primo
frutto dell’accordo: la revoca della scomunica ai sette vescovi
“patriottici” (otto se si conta un vescovo morto nel 2017 che aveva
espresso il desiderio di essere riconciliato con Roma) fino ad ora non
riconosciuti dal Vaticano.