il manifesto 23.9.18
Bannon a Roma arruola Meloni
L'internazionale
dei nazionalisti. L'ex stratega di Trump: «L’Italia è il nostro vero
laboratorio politico». Dopo la Lega, anche i Fratelli d'Italia
aderiscono a "the movement"
Steve Bannon alla festa Atreju dei Fratelli d'Italia a Roma
di Matteo Bartocci
ROMA Dai fratelli Gracchi (II sec. a. C.) a Donald Trump e Giorgia Meloni.
Ospite
d’onore alla festa di Atreju, Steve Bannon ripete in un monologo la sua
visione del mondo sparata in decine di comizi e post virali. Una
rilettura semplicistica della società umana e degli ultimi dieci anni di
globalizzazione, caratterizzati dalla feroce guerra del «partito di
Davos» (Washington, Wall Street, Silicon Valley, Bruxelles e i media
mainstream) contro «i popoli» della terra e i «valori giudaico-cristiani
dell’Occidente».
Una sorta di «dio, patria e famiglia 2.0». L’ex
stratega di Trump infatti si tiene alla larga da proposte concrete,
svicolando apertamente dalle tre domande rivoltegli da un entusiasta
Alessandro Giuli sull’inevitabile scontro dei vari nazionalismi, la
necessità delle élite e le relazioni con il «patriota» Putin.
Bannon Meloni
Dopo la Lega, the movement, il «movimento populista mondiale» di Bannon arruola anche Giorgia Meloni e i Fratelli d’Italia.
«Dopo
la vittoria di Trump alle elezioni midterm di novembre – promette
Bannon – mi stabilirò in Europa per aiutare a vincere anche le elezioni
di maggio». Minimizza però il suo ruolo: «Forniremo ai vari partiti le
nostre data analysis, una war room permanente, sondaggi, tutto ciò che
serve tecnicamente per vincere le elezioni».
La promessa è di «restituire la libertà agli italiani, nessuno potrà più dirvi cosa fare con il vostro paese».
La
causa del populismo, spiega Bannon, è la crisi finanziaria del 2008,
per la quale nessuno è andato in galera. È il denaro facile regalato a
pacchi alle banche e non ai cittadini in difficoltà, è la
disoccupazione, la gig economy, gli interessi sottozero sui risparmi, i
superbonus a Wall Street.
«È l’1%», dice, parodiando la parola chiave di Occupy.
«Il
partito di Davos vede la sua fine, e vi assicuro che sta preparando una
nuova crisi finanziaria che farà sembrare quella del 2008 un picnic
della domenica». Perché le élite non hanno remore a causare distruzione:
«Guardate com’è ridotto il Medioriente, dove solo gli Usa hanno speso
7mila miliardi di dollari creando disastri e decine di stati zombie».
In
un quadro apocalittico, in cui la prossima guerra vera si giocherà sui
big data e le identità digitali di ciascuno, la lotta è all’ultimo
sangue.
I popoli contro le élite. Per fare cosa? «Non sono qui per
dire agli italiani cosa devono fare. Voi lo sapete. Userete il vostro
buon senso e la vostra dignità – dice Bannon – hanno paura di voi perché
i popoli sono una vera forza politica naturale, pura» (raw, in inglese,
ndr).
Il processo di ri-nazionalizzazione delle masse
globalizzate (chissà se Bannon ha studiato Mosse o Hobsbawm) è ancora
agli inizi.
La vittoria di Trump e la Brexit sono viste come
benzina su questa ossimorica «internazionale dei patrioti». Ma, avverte
Bannon: ««L’Italia è l’esperimento politico più importante. Da qui può
partire la rivoluzione». E, almeno su questo, non si può dargli torto.