il manifesto 23.9.18
Bari-Italia, la protesta necessaria
Contro
la barbarie. Solo una mobilitazione di massa e unitaria che alzi la
voce contro la barbarie affluente fatta di esclusione e
marginalizzazione degli sfruttati tutti; che prescinda da schemi
precostituiti, ritualità ed esigenze di parte - come chiedono migliaia
di nostri lettori e non solo -, può essere la risposta. Che sia radicata
in mille rivoli sociali, ma che alla fine insieme si renda visibile
di Tommaso Di Francesco
Merita
una riflessione l’aggressione squadrista a Bari di Casa Pound contro un
gruppo di antifascisti che aveva partecipato ad una protesta contro la
nuova barbarie rappresentata dalle politiche contro i migranti del
ministro degli interni Salvini. Non solo perché sono stati presi di mira
esponenti importanti della sinistra, come l’eurodeputata Eleonora
Forenza eletta con la lista L’Altra Europa per Tsipras che ha
testimoniato dell’aggresione subìta, Antonio Perillo assistente della
Forenza finito al pronto soccorso della clinica Mater Dei con una grave
ferita alla testa, e Claudio Riccio di Sinistra italiana, candidato alle
politiche di marzo alla Camera dei deputati per Liberi e Uguali.
Il
fatto è particolarmente inquietante perché accade dopo le tante
manifestazioni antirazziste «spontanee», da Catania a San Babila a
Milano; e particolarmente grave perché porta a compimento una settimana
“nera” – ormai un elenco infinito che preoccupa anche l’Onu – che si è
aperta il 16 settembre con la devastazione a Milano della Scuola di
cultura popolare di Via Bramantino, messa a soqquadro e imbrattat di
svastiche e scritte «Viva Salvini», inequivocabili. Non risulta che dal
vice-premier leghista siano arrivate prese di distanza su Via
Bramantino. Stavolta invece su Bari ha parlato, ed era meglio che non
l’avesse fatto,perché ha ripetuto il mantra della sua presunta
neutralità.
«Se uno pesta un altro essere umano può essere giallo,
rosso o verde, il suo posto è la galera. – ha detto – Poi da ministro
dell’interno devo andare oltre la notizia». Siamo insomma all’anticamera
degli opposti estremismi.
Ma fascisti e antifascisti non sono la
stessa cosa nella storia della Repubblica e della democrazia italiane. E
qui c’è una sede «politica» e un gruppo di manipoli che non rinnegano
il richiamo esplicito al fascismo. Con la Costituzione e le leggi alla
mano – vecchie e nuovissime – bisognerebbe andare bel oltre le
identificazioni dei 30 militanti di Casa Pound che hanno partecipato
all’agguato: bisognerebbe dunque passare a vie di fatto ben più
esplicite per fermare una buona volta per tutte questa peste nera
criminale. Vista anche la «metodologia» professionale dell’aggressione,
con cinghie, catene e tirapugni, e con una violenza esercitata anche «in
mezzo a bambini», secondo i testimoni e le vittime che l’hanno subita.
Non
accadrà naturalmente nulla di tutto questo. Eppure, come ha dichiarato
il sindaco di Bari Antonio De Caro l’aggressione al termine di un
pacifico corteo antirazzista ha precisi «mandanti morali»: tutti quelli
che «ogni giorno, subdolamente alimentano un clima di odio, di
pregiudizio, di violenza» che «soffiano sul fuoco della paura».
E
aggiungiamo, che ormai i picchiatori di Casa Pound e l’intera
costellazione neofascista si considerano come la milizia d’avanguardia
dell’operato istituzionale del ministro degli interni Salvini. Com’è
accaduto, in molte parte d’Italia, in occasione della Circolare Salvini
contro gli ambulanti in spiaggia. Dove la percezione della giustizia
italica che è stata lanciata dal neoministro degli interni non era
quella di considerare fuorilegge la grande quantità di stabilimenti che
hanno illegalmente usurpato il bene pubblico dell’accesso al mare, ma i
poveri cristi che vendono cappelli e collanine. È la giustizia
nazional-populista, bastano la percezione e, manco a dirlo i sondaggi.
Torna
dunque forte la necessità di una risposta, visibile e in piazza, che
sia di massa e unitaria contro la barbarie che ci circonda, quella di
Salvini che ha così profondamente ispirato in chiave
nazional-corporativa le pratiche del «nuovo» governo. Contro cui, nelle
istituzioni, si leva solo la voce flebile, a rischio inutilità, del
presidente della Camera Roberto Fico. Perché la settimana nera si è
conclusa con il vergognoso compiacimento del vicepremier Di Maio del
fatto che «non ci sono più Ong nel Mediterraneo», pronunciato a poche
ore dal rifiuto della nave Aquarius di riconsegnare migranti soccorsi in
mare alle «autorità» libiche e dalla denuncia dell’Unhcr che i propri
inviati non hanno più accesso ai centri di detenzione ufficiali
dell’area di Tripoli, dove si combatte e dove vengono portati i migranti
scampati al naufragio o respinti.
L’aggressione di Bari richiama
la condizione complessiva dell’Italia in questo momento di buio pesto a
sinistra. Dell’Italia dove ieri è arrivato in missione «internazionale»
l’ideologo della destra sovranista mondiale, Steve Bannon – i razzisti a
quanto pare fanno i conti con il cosiddetto mondialismo – a cercare
adepti per la sua campagna d’odio. Nell’Italia diventata, non
all’improvviso, l’anello più debole della democrazia rappresentativa e
spina nazionalista nel fianco della colpevole Europa unita, fin qui
realizzata solo da moneta, mercato e vincoli di bilancio.
Solo una
mobilitazione di massa e unitaria che alzi la voce contro la barbarie
affluente fatta di esclusione e marginalizzazione degli sfruttati tutti;
che prescinda da schemi precostituiti, ritualità ed esigenze di parte –
come chiedono migliaia di nostri lettori e non solo -, può essere la
risposta. Che sia radicata in mille rivoli sociali, ma che alla fine
insieme si renda visibile.