il manifesto 20.9.18
Rebibbia: il silenzio necessario, Bonafede e la politica del capro espiatorio
di Patrizio Gonnella
Di
fronte a due bimbi morti e alla tragedia immane avvenuta nel carcere
femminile di Rebibbia avremmo tutti dovuto chiuderci in un rispettoso
silenzio. Di fronte a un fatto di cronaca così terribile il silenzio ha
una forza etica imparagonabilmente superiore a chi spreca parole per
spiegare, strumentalizzare, sentenziare. Una rottura del silenzio, anche
da parte mia, è però necessaria per svelare il gioco del capro
espiatorio e per restituire dignità a persone che la meritano.
Mario
Gozzini, cattolico, eletto negli anni ’80 in Parlamento nelle liste del
Pci, è stato il padre della riforma penitenziaria del 1986. Negli anni
successivi all’approvazione della legge Gozzini era diventato il capro
espiatorio di tutti i crimini commessi o impuniti nel nostro Paese. Lui
stesso scriveva come spesso gli fosse detto in modo superficiale che lui
era tanto sensibile al tema soltanto perché era cattolico. A costoro
Gozzini rispondeva che la professione di fede non c’entrava nulla e che
per lui la questione penitenziaria era una questione sociale, civile,
naturale, politica, economica. Infine, con il sorriso, spiegava che era
ben lieto che il suo impegno si incrociava con un’esortazione di Cristo
che aveva identificato se stesso con in carcerati (Matteo 25, 36).
Gozzini funzionava bene come capro espiatorio ogniqualvolta un detenuto
in misura alternativa commetteva un delitto.
E ieri bene ha
funzionato nella comunicazione pubblica un altro capro espiatorio. Il
ministro della Giustizia Alfonso Bonafede ha sospeso dalle loro funzioni
la direttrice, la vice-direttrice e la vice-comandante del carcere
femminile romano. Il capro espiatorio è servito con una tempestività che
non lascia spazio a dubbi, difese, ragionamenti, biografie. Di fronte a
un crimine che dovrebbe lasciare sbigottiti, un crimine che rimanda
alla mitologia greca, si puniscono con la sospensione dal servizio, con
severità raramente vista nelle istituzioni penitenziarie (di certo non
vista in quelle galere dove si tollerano violenze), tre persone per
bene.
Conosco personalmente la direttrice e la vice-direttrice di
quel carcere e so che sono tra le dirigenti più brave, aperte, attente
ai bisogni delle donne recluse presenti nel nostro sistema
penitenziario. Le ho viste al lavoro mostrando grande rispetto e cura
nei confronti delle detenute. Non so di quale errore siano responsabili.
So però che non meritavano, alla luce della loro preziosa carriera,
tale sospensione dall’incarico. Di certo, da oggi le detenute del
carcere romano non staranno meglio di prima.
Una volta che il
capro espiatorio è servito dovremo affrontare un altro tema, ossia cosa
vogliamo che accada quando una madre di un bimbo piccolo finisce in
carcere. Sono molti i Paesi dove i bambini sono destinati
all’istituzionalizzazione. Se dalla tragedia della follia avvenuta a
Roma dovessimo uscirne con un ritorno a un passato di separazione
forzata, violenta e dannosa dei figli dalle mamme allora vorrà dire che
il capolavoro è drammaticamente compiuto.