il manifesto 20.9.18
Rebibbia, sospesi i vertici. Morto il secondo bambino
Carcere.
Il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede rimuove la direttrice, la
vice e il capo delle agenti di polizia penitenziaria. «Ho liberato i
miei figli. Ora sono in paradiso», ha affermato la donna piantonata in
psichiatria
di Eleonora Martini
Il giorno dopo
della tragedia di Rebibbia, mentre i medici ospedalieri dichiaravano la
morte cerebrale anche del secondo bambino della detenuta tedesca che
martedì mattina ha gettato giù dalla rampa delle scale del “nido” del
carcere i suoi due figli, con una misura che a memoria non ha
precedenti, ieri il ministro di Giustizia Alfonso Bonafede ha sospeso
Ida Del Grosso, la direttrice della casa circondariale femminile romana,
la sua vice, Gabriella Pedote, e la vice comandante della Polizia
penitenziaria, Antonella Proietti.
Una misura, questa, «affrettata
e controproducente», l’hanno bollata in molti, dentro e fuori il mondo
della giustizia e delle carceri, dai Radicali di +Europa a Leu e al Pd,
dai sindacati di polizia penitenziaria ai garanti dei detenuti.
Un
provvedimento ad effetto, che si vorrebbe ispirato dall’assoluta
intransigenza e si presta bene a spostare l’attenzione sull’ultima ruota
di un carro – il carcere – che non funziona perché mal congeniato e
continuamente boicottato. E assolve un ministro e un governo che, solo
per fare un esempio, non hanno esitato un istante ad affossare, ad un
passo dall’approvazione definitiva, la riforma penitenziaria che, tra
gli altri nodi, si occupava del problema irrisolto dei troppi bambini
costretti alla detenzione in carcere con le loro madri (come fa notare
l’ex Guardasigilli Andrea Orlando, non certo esente da responsabilità in
merito).
«Se ho preso questi provvedimenti – ha spiegato
Bonafede, intervenendo a “L’Aria che tira” su La7 – vuol dire che ho
ritenuto che sono stati fatti errori. Il messaggio deve essere chiaro:
nel mondo della detenzione non si può sbagliare». E commentando chi
sottolinea l’incompatibilità con il carcere di una detenuta straniera
tossicodipendente, con due bambini piccoli e problemi psichici, il
ministro ha risposto: «Se c’è una cosa che mi fa schifo – parole
testuali – è che quando c’è una tragedia tutti si improvvisano
tuttologi, commentano la legge e parlano. C’è solo da stare zitti e da
attendere gli accertamenti. Io come ministro ho già preso i miei
provvedimenti a tempo di record».
In effetti auspicava il silenzio
anche il Garante nazionale dei detenuti, Mauro Palma, che ieri ha però
voluto precisare in una nota che la responsabilità di quanto accaduto a
Rebibbia, oltre che personale della detenuta, «è responsabilità
collettiva: della carenza di strutture di casa famiglia protette, che
esistono in numero limitatissimo e che dovrebbero costituire la
soluzione prioritaria; delle comunità locali che spesso non gradiscono
le presenze delle detenute madri nel loro territorio; della pretesa
volontà di anteporre le necessarie esigenze di giustizia a quelle due
tutele a cui si faceva riferimento prima; di un’opinione pubblica che
volge il suo sguardo al carcere solo in occasione di tragedie e non
anche ai molti aspetti di cura e tutela che vi si svolgono ogni giorno.
Certamente – conclude Palma – la responsabilità non è del punto
terminale di chi si trova a dirimere tale intrico di conflitti e di
problema aperti e che, nel caso della direzione dell’Istituto femminile
di Roma, lo ha sempre fatto con la massima attenzione a tutte le diverse
esigenze».
Intanto ieri la procura ha diramato un appello per
cercare il padre dei due bambini uccisi a Rebibbia, Ehis E., di
nazionalità nigeriana, al fine di ottenere l’autorizzazione per
l’espianto degli organi del bimbo più grande del quale ieri è stata
dichiarata la morte cerebrale (nato a Monaco di Baviera il 2 febbraio
2017, mentre la sorellina morta sul colpo era nata nella stessa città
tedesca il 7 marzo scorso).
«I miei bambini adesso sono liberi»,
avrebbe detto la detenuta 33enne al suo avvocato, Andrea Palmiero.
Tedesca di nascita, georgiana di origine, arrestata in flagranza di
reato il 26 agosto per concorso in possesso di 10 kg di marijuana, A.S. è
tossicodipendente e in passato avrebbe tentato il suicidio, secondo
quanto appreso dagli inquirenti nelle ultime ore. «Sapevo che ieri
(martedì stesso, ndr) era in programma l’udienza davanti ai giudici del
Riesame che dovevano discutere della mia posizione. I miei figli li ho
liberati, adesso sono in Paradiso», ha spiegato al suo legale la donna
che si trova piantonata nel reparto di psichiatria dell’ospedale Sandro
Pertini. Una donna che forse avrebbe avuto bisogno di un aiuto
psichiatrico assai prima di commettere il reato, di essere aiutata a
crescere quei due figli che aveva chiamato – significativamente – Faith
(Fede) e Divine.