venerdì 14 settembre 2018

il manifesto 14.9.18
«In Brasile 13 femminicidi al giorno: è una guerra contro le donne»
Intervista. Incontro con l’artista brasiliana Adelaide Ivánova, oggi al Babel Festival: «Il femminismo va pensato all’interno della lotta di classe: impossibile separare questa maschilità tossica da neoliberismo e razzismo»
di Claudia Fanti


In Brasile «mimimi» è l’espressione colloquiale che viene usata per prendersi gioco di chi non fa che lamentarsi. Averla scelta come titolo di un’opera che si propone di denunciare il fenomeno del femminicidio dice già molto della potenza espressiva dell’autrice, la scrittrice e attivista politica brasiliana (ma residente in Germania) Adelaide Ivánova.
Ospite oggi al Babel festival di letteratura e traduzione che si svolge quest’anno a Bellinzona dal 13 al 16 settembre – un’edizione dedicata al Brasile con tutti i suoi stupefacenti chiaroscuri – la poliedrica artista brasiliana (impegnata sui diversi terreni della poesia, la fotografia e l’editoria) ha accettato di rispondere ad alcune domande sulla sua opera e sui nessi tra questione di genere, capitalismo e razzismo da cui la sua ricerca è attraversata.
In un mondo in cui le immagini influenzano la nostra percezione della realtà, formano le opinioni, condizionano le nostre idee, contribuiscono a costruire le nostre certezze, con il loro potere di svelare ma anche di manipolare, di provocare indignazione ma anche di spingere all’indifferenza, cosa ti sei proposta con la ricerca iconografica di «Mimimi» sui più importanti casi di femminicidio e di esecuzioni capitali delle attiviste politiche in Brasile?
Si tratta di una performance divisa in quattro parti, la prima delle quali relativa a fotografia e femminicidio, la seconda a femminicidio e maternità, la terza, che viene ora presentata al Babel Festival di letteratura e traduzione, a stupro e poesia e la quarta a misoginia e immigrazione. Gli obiettivi che mi pongo con tale ricerca sono vari. Il primo appare già nell’ironia del titolo: quello di gettare in faccia allo spettatore la violenza del linguaggio che minimizza o ignora le testimonianze di chi soffre sulla propria pelle il razzismo, il sessismo, il classismo. Ciò che si definisce «mimimi» noi lo chiamiamo assassinio di donne, femminicidio. Un altro aspetto è quello di porre il femminicidio accanto a situazioni di conflitto: se viviamo in un Paese in cui vengono assassinate tredici donne ogni giorno, possiamo dire che siamo in guerra contro le donne? È per questo che uso il testo di Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri: perché in esso l’autrice parla della relazione tra immagine e guerra usando, per contestualizzare, la sua esperienza nella guerra dei Balcani.
Infine, il mio obiettivo era quello di lavorare sulla nostra stessa percezione della visibilità: un’immagine non è solo una cosa che si vede con gli occhi, ma la facoltà di rendere una cosa invisibile ha sempre a che fare con una scelta politica. Per esempio, il fatto che nel 99% dei casi di stupro non si arrivi a una condanna – parliamo della media mondiale – è un modo per rendere invisibili milioni di donne. È per questo che io non proietto le foto, ma mi limito a descriverle dettagliatamente. Cerco di generare, nello spettatore, il disagio dell’invisibilità che noi viviamo quotidianamente.
L’artista brasiliana Adelaide Ivánova
Nell’impeachment mosso contro Dilma Rousseff quanto ha pesato il fatto che fosse una donna?
Non sono in grado di dire se e quanto il suo essere donna sia risultato decisivo, ma è piuttosto evidente che vi sia stato un aspetto misogino non solo nella motivazione dell’impeachment, ma anche nel modo in cui si è svolto il processo. Temer e i membri del Movimento Democrático Brasileiro hanno adottato strategie apertamente sessiste nei confronti di Dilma Rousseff. E il dibattito sui mezzi di comunicazione golpisti è stato anch’esso sempre «genderizzato».
In un Paese in cui vengono assassinate tredici donne ogni giorno – il quinto al mondo per numero di femminicidi – non risulta preoccupante che un candidato come Jair Bolsonaro, che mostra così poco rispetto per le donne, dopo la bocciatura della candidatura di Lula figuri al primo posto nei sondaggi?
In realtà, risulta al primo posto ma con una percentuale piuttosto bassa: solo il 24% delle intenzioni di voto. Dall’altro lato, l’indice di disapprovazione nei suoi confronti è enorme: è il 43% dell’elettorato brasiliano a opporsi alla sua candidatura. Vuol dire che è assai improbabile che possa vincere un eventuale ballottaggio. Per quanto sia triste, non dovrebbe sorprendere che un paese che uccide tredici donne e ne violenta molte altre ogni giorno (al ritmo di uno stupro ogni undici minuti) pensi di eleggere una persona che rappresenta proprio tutto questo. Ma pensiamo anche a ciò che questo indica in relazione alla disuguaglianza sociale e alla distribuzione della ricchezza: il candidato fascista riceve molti più voti al sud e al sud-est, che è la parte più ricca del paese e anche la più razzista. Nel nord-est, la regione più povera dove Lula contava sul 60% delle intenzioni di voto, questo candidato non verrebbe mai eletto. Non a caso, il programma di governo di Lula (e ora di Fernando Haddad) prevede anche misure di rafforzamento della Legge Maria da Penha (contro la violenza nei confronti delle donne) e la riapertura del dibattito sulla depenalizzazione dell’aborto.
In tanti parti del mondo le donne si organizzano e scendono in piazza. La resistenza al capitalismo ha oggi un volto prevalentemente femminile?
In realtà c’è ancora una parte enorme del femminismo che ignora, inconsapevolmente o per scelta, le questioni di classe. Credo che la resistenza al capitalismo abbia una connotazione femminista sempre più pronunciata, ma che vi sia ancora molto da fare. Ci stiamo lavorando.
Di fronte all’impossibilità di lottare contro il capitalismo senza combattere allo stesso tempo la costruzione socioculturale del patriarcato, quali sono i compiti principali per le donne?
Di certo è impossibile separare questa misoginia, questa maschilità tossica, da un pensiero neoliberista, capitalista, classista, razzista. La questione patriarcale non solo presenta una stretta connessione con la costruzione del capitalismo, ma è anche uno dei fattori da cui il capitalismo dipende. Nell’area della produzione culturale, direi che i compiti da portare avanti sono quelli di pensare il femminismo all’interno della lotta di classe e di usare la produzione culturale come una piattaforma che mescoli fruizione politica e fruizione poetica e principalmente come strumento per invitare/ispirare le donne ad agire e a intervenire nelle proprie comunità.