il manifesto 14.9.18
Lo tsunami di un sovranismo che ci divide
Destre/sinistre. L'onda nera investe tutti, anche i socialisti e gli affiliati al Partito della Sinistra Europea
di Luciana Castellina
La
condanna inflitta al governo Orbán dal Parlamento Europeo è finalmente
una buona notizia. Tanto più buona se si tiene conto dell’ arroganza
occidentalocentrica che caratterizza l’Europa.
Mai, in
quarant’anni, si era riusciti a indurre l’Assise di Strasburgo a
guardarsi allo specchio: a prendere in considerazione le tante
violazioni dei diritti democratici impunemente perpetrate dai propri
stati membri. Certo meno gravi di quelle attuali in Ungheria, ma non
abbastanza per permettersi di glorificare senza mai un cenno autocritico
le proprie superiori virtù. ( Basterebbe pensare a cosa è accaduto in
Irlanda del nord negli anni ‘80, solo per fare l’ esempio di una
battaglia, contro il governo di sua Maestà Britannica, che abbiamo
sempre perduto). È sempre sembrato che la sola autorizzata a prendere le
misure della democrazia del mondo fosse l’Ue, lo strumento per farlo
detenuto a Bruxelles così come, a Parigi, si conserva gelosamente il
metro d’oro che ne certifica l’esatta lunghezza. La condanna di Orbán è
dunque un evento storico, e speriamo significhi che si comincia a
prestare attenzione al rapido deterioramento della nostra già malconcia
democrazia.
Il voto che condanna il governo ungherese ha prodotto
un’altra novità di rilievo: la spaccatura del Partito Popolare, cui
Orbán appartiene, e che però una buona metà dei suoi deputati si sono
rifiutati di assolvere. Anche questa è una buona notizia ma è anche il
segno del processo di decomposizione delle forze politiche tradizionali,
di destra di centro e di sinistra, tutte investite dai problemi inediti
che la globalizzazione finanziaria sta facendo scoppiare e cui non
sanno far fronte ricorrendo alle loro vecchie ricette. Avviene ovunque, e
il parlamento europeo che eleggeremo nel maggio prossimo avrà
certamente una composizione assai diversa da quella che abbiamo
conosciuto fino ad ora.
La prima novità che si delinea è quella di
una spaccatura definitiva del gruppo che aggregava i vari moderati
partiti democristiani e la creazione di una corposa destra estremista. E
sovranista. Tenuto conto del ruolo che ha ed ha avuto Angela Merkel
nell’Eu, la scomposizione della sua forza politica di provenienza sarà
carica di conseguenze.
Ma anche la sinistra è investita dallo
tsunami, sia quella socialista che quella affiliata al Partito della
Sinistra Europea: in Francia non ci sono quasi più né il Psf né il Pcf,
ma un “renziano” come Macron, oltre all’iper sovranista Mélanchon che ha
addirittura dichiarato di voler buttare fuori Syriza dal Partito della
Sinistra Europea; in Germania è nato in seno alla Linke, forse il più
forte e assennato fra i partiti che vi appartengono, il movimento
“Aufstehen” (alzarsi), un appellativo che già di per sé suscita
preoccupazione, senza parlare di quello scelto in Italia da Fassina,
”Patria”, un termine che evoca memorie funeste. Le parole non sono acqua
ma cariche di simbologie non innocue.
Il cosiddetto sovranismo – e
cioè la convinzione che i problemi che incombono potrebbero esser
risolti solo che a decidere sia un governo nazionale anziché europeo –
sta dilagando anche in Italia. Tutti convinti che siccome i Savoia erano
pessimi sarebbe stato giusto abbandonare l’Italia e rientrare nel
borbonico Regno delle due Sicilie.
La difficoltà che oggi
incontriamo a controllare le decisioni che contano dipende dal fatto che
a livello globale non c’è istituzione democratica che possa esercitare
questa funzione; e tanto meno potremmo esercitare la nostra sovranità se
ci ritirassimo nel nostro piccolo mondo, affogati nel Mediterraneo dove
sarebbe ancora più facile esser ingoiati dai tanti potentissimi squali,
anche nostri concittadini, che lo popolano.
L’Ue, così come è
stata costruita, è pessima, ma è là che dobbiamo vincere se vogliamo
recuperare un po’ di potere decisionale, perché quella è la sola
dimensione che può contare qualcosa nello scenario globale, e possiamo
ottenere che questo qualcosa sia meglio di quanto possiamo trovare
altrove perché con tutti i suoi difetti l’Europa è il contenitore del
maggior numero di diritti democratici e sociali che la storia ci ha
fornito. Come anche il voto di Orbán in fondo ci ha dimostrato.
Insistere
sull’Europa tuttavia vuol solo dire scegliere un campo di battaglia,
non un prato accogliente e su questo c’è di che riflettere
autocriticamente. Per l’assenza di dimensione europea di tutte le nostre
iniziative proposte lotte legami associativi. La condanna dell’Ungheria
ci ammonisce anche per questo: possibile che abbiamo consentito senza
muovere un dito che in questi decenni crescesse un’Ungheria così, e, più
in generale, un’Europa come quella di Visegrad? Qualcuno deve pur
esserci ancora vivo che ricorda quanto e come siamo stati coinvolti nel
’56 dalla rivolta di Budapest, una speranza che fu affossata nel sangue
ma che aveva anche mostrato la ricchezza di energie e tradizioni
socialiste democratiche di quel paese, poi via via spente senza che noi
sinistra occidentale ci occupassimo di intrecciare con loro un qualche
dialogo? Possibile che da quando è caduto il Muro non ci siano più stati
legami politici, iniziative comuni, persino amicizie? Possibile aver
anche solo pensato che l’annessione all’Ue dei paesi dell’ex blocco
sovietico, di cui hanno dovuto accettare senza fiatare tutte le
decisioni pregresse, buone solo per integrare il loro ceto compradore,
non avrebbe avuto conseguenze su tutti noi? Come pensiamo di cambiare
l’Europa se non ci impegniamo a costruirne una società comune e dunque a
far crescere nuovi protagonisti? Non è solo il Trattato di Maastricht o
la Troika che impediscono una economia europea retta dalla solidarietà
anziché dalla competizione. Se è così è anche perché la società europea
si è incattivita, e ognuno si chiude sempre più nel localismo, nella sua
piccola patria, considerata più sicura della condivisione. Orbán non è
popolare solo in Ungheria.