il manifesto 12.9.18
La destra illiberale cerca lo scontro frontale
Parlamento
europeo. Orban all'offensiva a Strasburgo, non cede niente. Oggi il
voto sull'articolo 7. La destra tradizionale del Ppe è spaccata. I
governi di Italia e Austria a pezzi. Orban inneggia al "popolo" contro
la democrazia rappresentativa
di Anna Maria Merlo
PARIGI
Muro contro muro. Viktor Orbán sceglie lo scontro diretto e non cede
niente di fronte all’europarlamento. Il primo ministro ungherese, leader
del fronte illiberale, è intervenuto ieri a Strasburgo, la vigilia del
voto di oggi degli europarlamentari per avviare la procedura
dell’articolo 7, una risoluzione che, se approvata, chiederà al
Consiglio di “constatare l’esistenza di un rischio chiaro di violazione
grave da parte dell’Ungheria dei valori su cui si fonda l’Unione
europea”. Anche se il risultato del voto di oggi resta estremamente
incerto, Orbán ha accusato preventivamente il parlamento europeo di
voler “condannare” non un governo ma un popolo, “che da mille anni è
membro della famiglia europea”, che sarà punito “perché ha deciso che
non sarà patria di immigrati”.
Orbán: “Volete escludere un
popolo”. Ha urlato: sono venuto a Strasburgo “per difendere la mia
patria”, anche “contro di voi se necessario”, perché “non accettiamo
minacce e ricatti delle forze pro-immigrazione, difenderemo le nostre
frontiere, fermeremo l’immigrazione clandestina”. Il fronte illiberale
getta la maschera e afferma il disprezzo per la democrazia
rappresentativa: in Italia, Salvini riprende la tesi di Orbán, il
“parlamento non processi il popolo”.
Marie Le Pen lo complimenta:
“Bravo! Orbán è rimasto inflessibile di fronte ai maestrini del
Parlamento europeo, che calpestano la democrazia pretendendo di
difenderla”. Orbán rilegge la storia e ingloba nella sua deriva
autoritaria anche la rivolta contro i sovietici del ’56: “condannerete
l’Ungheria che con il suo lavoro e il suo sangue ha contribuito alla
storia della nostra magnifica Europa, che si è sollevata contro
l’esercito più potente del mondo, quello sovietico, e che ha pagato un
forte scotto per difendere la democrazia”.
Oggi l’Europarlamento
vota sull’articolo 7 da applicare all’Ungheria (ci vogliono i due terzi
di voti per presentare la richiesta al Consiglio, ma la procedura potrà
poi essere bloccata da un veto, la Polonia è implicata in una procedura
analoga avviata dalla Commissione nel dicembre 2017). Ma l’offensiva del
fronte illiberale sta spaccando il Ppe, il principale gruppo
parlamentare a Strasburgo con 218 seggi.
Emmanuel Macron, indicato
come “nemico” principale dal fronte illiberale, qualche giorno fa ha
inviato un messaggio al Ppe, perché chiarisca la sua posizione: “non si
può essere contemporaneamente a fianco della cancelliera Angela Merkel e
di Viktor Orbán” (in Francia, i Républicains sono già spaccati, in
Germania la coabitazione tra Merkel e il ministro degli Interni Seehofer
è sempre più problematica, soprattutto dopo le manifestazioni di
Chemnitz e Köthen).
La Fidesz di Orbán fa ancora parte del Ppe.
Oggi, tutti gli occhi saranno puntati sul voto del capogruppo, il
tedesco (Csu) Manfred Weber, che ambisce alla successione di Jean-Claude
Juncker alla presidenza della Commissione e che ha cercato di calmare
Orban, con una telefonata. Oltre a quello italiano, spaccato anche il
governo austriaco, con l’Austria presidente semestrale del Consiglio Ue:
il cancelliere Sebastian Kurz (Ppe) ha indicato che il suo partito
voterà a favore dell’applicazione dell’articolo 7 all’Ungheria, mentre
il vice-premier, Heinz-Christian Strache, dell’Fpö, ha invitato Orbán a
raggiungere il gruppo dell’Europa delle nazioni e a creare un forte polo
di estrema destra a Strasburgo. Per Juncker (Ppe) “l’appartenenza di
Fidesz al Ppe è un problema”.
Oggi, al Ppe si conteranno i voti e
l’entità della spaccatura (Forza Italia voterà contro l’applicazione
dell’articolo 7, in sintonia con la Lega e l’estrema destra). A favore
della procedura di sanzione dell’Ungheria ci sono la sinistra della Gue,
il Pse, i Verdi, i centristi dell’Alde. Alexis Tsipras – la Grecia ha
sofferto dell’intransigenza europea quando si tratta di soldi, mentre
oggi il rischio del voto sull’Ungheria è di un cedimento di fronte alla
difesa dei valori – ha riassunto a Strasburgo la situazione a pochi
mesi dalle elezioni europee: sarà “una battagli di valori e di principi”
e “tutte le forze progressiste, democratiche, pro-europee devono essere
unite, non dobbiamo lasciare l’Europa fare un salto nel passato”.
Orbán
vuole forzare la Ue, scardinarla dall’interno, ma non intende portare
l’Ungheria fuori dall’Unione. I Fondi strutturali Ue sono il 4,4% del
pil ungherese. La ministra delle relazioni con la Ue, Judith Varda, ha
respinto “vigorosamente” il contenuto del rapporto dell’Europarlamento,
redatto dalla verde (olandese) Judith Sargentini, considerato “una
vendetta” per il rifiuto di Budapest di accogliere migranti. Ma
l’Ungheria ha anche cercato di convincere gli europarlamentari delle sue
buone ragioni. Ha inviato un documento di 109 pagine, dove pretende di
smontare le critiche del rapporto Sargentini, si difende, sui Rom, sul
sistema giudiziario. A luglio, la Commissione ha già contestato di
fronte alla Corte di giustizia la legge anti-immigrazione dell’Ungheria.