Il Fatto 3.9.18
Non possiamo permetterci di essere ignoranti sulla Cina
Fenomeni
come la Brexit dimostrano un desiderio di semplificare il mondo, di
chiuderci nelle nostre comunità nazionali. E se è difficile intergire
con Bruxelles, figuriamoci con Pechino. Ma così diventiamo irrilevanti
di Kerry Brown
Mi
sono occupato per molti anni di rapporti con la Cina, per conto della
Gran Bretagna, come accademico, uomo d’affari e diplomatico. E mi sono
sempre fatto la stessa domanda: cosa vuole la Cina da noi? Cosa pensano i
cinesi? Che visione hanno del ruolo della Gran Bretagna nel loro mondo?
Lo stesso tipo di dibattito si sviluppa in altri Paesi: in Europa, Asia
e Nord America bisogna rispondere a questi quesiti per affrontare
l’ascesa prima economia e ora geopolitica della Cina.
Parte della
complessità di confrontarsi con queste nuove potenze è la confusione su
che cosa sia esattamente la Cina – una tradizionale potenza asiatica
confuciana, una minaccia geopolitica di marca marxista-leninista, uno
Stato che subisce le regole della globalizzazione o uno che le detta? Le
stesse domande che oggi molti si fanno a proposito degli Stati Uniti
sotto Donal Trump, con tutte le loro fratture interne. E sono dubbi che
riguardano anche altri Paesi d’Euopa. Nel caso della Gran Bretagna, con
la Brexit, si è capito che gli inglesi non hanno le idee chiare neppure
su chi siano e che ruolo debbano avere loro stessie La spaccatura tra la
parte più isolazionista e tradizionalista della società (di solito
anche quella più rurale e anziana) e il resto è diventata all’improvviso
evidente a tutti.
In questo contesto il rapporto con la Cina
finisce per diventare un sottoinsieme delle questioni identitarie
interne. La differenza nella visione del mondo e nei valori politici e
culturali della Cina, che mai come ora possono influire anche sulle
nostre vite, ci costringono a chiederci non soltanto chi sono loro, ma
anche chi siamo noi.
Dopo aver avuto a che fare con la Cina per 25
anni ho imparato alcune cose. Negli ultimi decenni i cinesi sono stati
isolati, ai margini dell’economia mondiale, cercando disperatamente di
recuperare terreno. Come in tutte le relazioni asimmetriche, sentendosi
più deboli degli altri hanno sempre cercato di sapere il più possibile
di un mondo che invece di loro si curava poco. Questo non significa che
la maggioranza dei cinesi sia esperta di Gran Bretagna, America o
Australia, ma hanno sempre coltivato una certa curiosità e un livello di
conoscenza di base, in molti casi anche della lingua, che semplicemente
non è reciproco. Ci sono 200 milioni di cinesi che studiano inglese e
soltanto 3000 inglesi che studiano cinese. Anche considerando le
percentuali della popolazione il confronto è impietoso.
Ci sono
gruppi di occidentali – nel governo, nell’impresa, nella società civile –
che hanno bisogno di informarsi sulla Cina e hanno maturato una
eccellente competenza. Ma a parte loro c’è ben poco e il dibattito
specialistico e accademico sulla Cina scoraggia tutti i non iniziati. Ma
questi sono problemi superficiali che possono essere risolti in tempi
ridotti con l’istruzione. La vera questione è stabilire quale ruolo
vogliamo che abbia la Cina nelle nostre vite. Fenomeni come la Brexit
dimostrano un diffuso desiderio di semplificare il mondo, di ritirarsi
all’interno delle barriere di un senso condiviso di identità nazionale.
In molti hanno difficoltà a confrontarsi con l’Unione europea, percepita
come distante e poco comprensibile, figuriamoci quanto può essere
difficile immaginare un modo di convivere con una potenza come la Cina
che emerge da un passato e da una storia così radicalmente distante.
La
conclusione a cui sono giunto è che la questione davvero preoccupante è
che abbiamo scelto l’indifferenza verso la Cina come opzione di
default. Non pensiamo che meriti abbastanza attenzione: è troppo remota,
strana, indecifrabile, anche se i suoi studenti riempiono le nostre
università e i suoi prodotti i nostri negozi, i suoi turisti i nostri
aeroporti. Gli inglesi, e gli altri europei, sono a loro agio soltanto
con una Cina quasi invisibile, ed è così che la vogliono.
Curare
questo approccio mentale non è facile perché non implica soltanto più
studio, ma un completo cambio di prospettiva e rimettere in discussione
la nostra stessa identità. L’idea che l’Europa rappresenti valori
assoluti di libertà, pragmatismo e virtù democratica mentre la Cina si
muove su un piano morale inferiore è il grande non-detto nel nostro
atteggiamento verso la Cina. E affrontare questo punto ci costringe a
fare qualcosa che finora siamo sempre riusciti a evitare: ridimensionare
i nostri valori e la nostra percezione di noi stessi.
C’è un
detto apocrifo attribuito a Confucio: l’apprendimento è efficace in tre
modi, imitando qualcuno individuato come modello, e questo è molto più
efficace; attraverso la lettura, che è il modo più superficiale; oppure
con l’esperienza, che è il più duro. L’esperienza sarà la via attraverso
la quale la Gran Bretagna dovrà definire un nuovo rapporto con la Cina
dopo la Brexit. E il resto del mondo starà ad osservare come andrà. Può
trasformarsi in una faticosa ma istruttiva lezione per tutti gli altri.
Per capire che per conoscere davvero gli altri, è meglio prima conoscere
se stessi per evitare che siano gli altri a insegnarci chi siamo
davvero.