Il Fatto 29.9.18
Riforma Fornero, l’effetto peggiore è sulle donne
Il documento - Tra il 2012 e il 2017 a diminuire maggiormente sono state le pensioni di vecchiaia, soprattutto quelle femminili
di Salvatore Cannavò
Altro
che quota 100, il problema sociale più rilevante provocato dalla
riforma Fornero non riguarda le pensioni di anzianità, cioè le pensioni
basate sulla vita contributiva, ma quelle di vecchiaia, soprattutto le
pensioni delle donne.
La situazione forma oggetto di una
discussione che sta avvenendo all’interno del palazzo dell’Inps, in una
serie di calcoli che comporranno un documento che sarà pronto a metà
ottobre. Dati che Il Fattoha potuto visionare e che raccontano
l’andamento delle pensioni di vecchiaia e quello delle pensioni di
anzianità dal 2012, primo anno dell’era Fornero, al 2017. In forte calo
le prime, soprattutto nel caso delle donne in aumento le seconde,
nonostante le restrizioni decise nel 2011.
Anche per questo il
presidente dell’Inps, Tito Boeri, ieri ha accusato il governo di “grande
iniquità nelle scelte sulle pensioni” definendolo “non previdente” in
materia. Il problema sollevato dal presidente Inps riguarda la
sostenibilità dei conti dell’istituto: “Ammesso e non concesso che per
ogni pensionato creato per scelta politica ci sia un lavoratore giovane –
ha spiegato – bisogna tenere conto che chi va in pensione oggi in media
ha una retribuzione di 36.000 euro lordi, mentre un giovane assunto con
contratto a tempo indeterminato, cosa molto rara, avrà una retribuzione
di 18.000 euro. Quindi ci vorrebbe la retribuzione di almeno due
giovani lavoratori per pagare una pensione”.
Tornando agli effetti
della Fornero, le pensioni previdenziali, tra il 2012 e il 2017, sono
diminuite di circa 570 mila unità passando da 17.423.177 a 16.856.153.
La riforma ha colpito quindi in profondità, ma il calo non ha riguardato
le pensioni di anzianità. Queste, alla data di entrata in vigore delle
nuove norme si basavano sulla cosiddetta quota 96, il cumulo cioè degli
anni di contribuzione e dell’età anagrafica fermo restando il requisito
minimo dei 35 anni di contributi. Per cui si poteva andare in pensione
anche a 61 anni di età. La Fornero ha modificato i termini, introducendo
la pensione “anticipata” e portando il requisito contributivo a 42anni e
1 mese per gli uomini e a 41 anni e 1 mese per le donne, requisito poi
elevato a 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le
donne nel 2019. Sono quelle su cui vuole intervenire il ministro Salvini
quando ipotizza “quota 100”, cioè una maggiore possibilità di mescolare
età contributiva ed età anagrafica creando per decreto, come dice
Boeri, 500 mila nuovi pensionati. Che vanno ad arricchire un numero già
in crescita. Nel periodo preso in esame dall’Inps sono aumentate di
circa 630 mila unità passando da 5.531.244 a 5.965.866 unità. L’arrivo
all’età pensionabile della generazione del “baby boom” è stato più forte
delle rigide maglie imposte dal governo Monti. E questo ha impresso una
dinamica ascendente.
A essere davvero penalizzate dalla riforma
sono state le pensioni di vecchiaia per le quali la Fornero ha elevato
di anno in anno la soglia di accesso portandola a 66 anni e 7 mesi, da
adeguare d’ora in poi alle aspettative di vita. E così le pensioni dei
lavoratori dipendenti sono passate da 3.530.994 del 2012 a 3.018.369 del
2017, quelle degli autonomi da 1.719.015 nel 2012 a 1.583.023 nel 2017.
Complessivamente, considerando dipendenti pubblici e parasubordinati,
la riduzione è stata di oltre 544 mila unità. Così, se nel 2012 il
rapporto tra pensioni di vecchiaia e anzianità era di 1,44, nel 2017 si è
passati a 1,11. Il vero “scalone” si è prodotto in questo comparto.
A
rimetterci sono state soprattutto le donne, tanto che la storica
prevalenza del sesso femminile su quello maschile è passata da un
rapporto iniziale di 1,29 a un rapporto di 1,01. Se nel 2012 alle donne
erano state liquidate 89.656 pensioni di vecchiaia contro le 48.182
degli uomini, nel 2017 il rapporto si inverte: 79.555 per gli uomini
contro 40.179 alle donne. Il rapporto sfavorevole è parzialmente
compensato dall’andamento delle pensioni di anzianità che ha visto
aumentare quelle liquidate alle donne passate da 48.834 a 81.472.
Secondo
i primi dati del 2018 questo squilibrio perdurerà ancora anche perché
il requisito anagrafico aumenterà ancora portando la soglia minima a 67
anni per tutti. L’età effettiva di pensionamento per le donne è passata
da 61,5 del 2012 a 64,8 nel 2017, mentre nel caso delle pensioni di
anzianità il peggioramento è stato sensibilmente ridotto: l’età media
delle donne è passata, nel caso dei dipendenti privati, da 58,2 anni a
60,3. Per gli uomini si è passati da 59,5 a 61,5 e gli uomini, in virtù
di una differenza di condizioni pregressa hanno sofferto meno
l’allungamento dei termini per la pensione di vecchiaia: l’età media
infatti si è allungata da 65,1 a 66,1 anni sempre relativamente ai
lavoratori dipendenti.