sabato 29 settembre 2018

Il Fatto 29.9.18
La sinistra che applaude alla manovra espansiva
Imbarazzi - La difficile sopravvivenza tra la retorica dei tifosi dello spread e quella gialloverde
di Marco Palombi


La via intellettualmente più complessa per fare opposizione al governo gialloverde sulle politiche economiche è quella che tocca – forse non paradossalmente – alla sinistra ovunque residuata nel Paese al netto del tracollante equivoco noto come Partito democratico. Questa sinistra s’è a lungo spesa contro il Fiscal compact – cioè quell’insieme di regole che impongono ai Paesi dell’Eurozona il pareggio di bilancio a tappe forzate – e il pareggio di bilancio in Costituzione (la Cgil provò addirittura la via del referendum) e ora non può reagire come un renziano qualunque (“pazzi irresponsabili”) alla prima manovra almeno un po’ espansiva da molti anni.
Il filo retorico su cui deve camminare quest’area politica è sottile. Si va dall’autodafé di Michele Emiliano (“c’è da chiedersi come è possibile che nel passato la sinistra ufficiale non sia riuscita a fare manovre del genere”) alla formula “sì, ma…” in vigore nella maggior parte di LeU: “Il problema non è utilizzare il deficit in sé (…) Il punto è cosa ci fai con quel deficit”, scrive Nicola Fratoianni. “Non saremo certo noi a stracciarci le vesti per lo sforamento del deficit in sé (…) Il problema è come vengono usate le risorse”, fa eco la senatrice Loredana De Petris. E che bisognava farci? “Un robusto piano di investimenti pubblici” (Fratoianni) e, invece, “lo sforamento sarà utilizzato per la spesa corrente” (De Petris). Peccato che poi si denunci un taglio della spesa corrente previsto nel Def (circa 5 miliardi) come un taglio al welfare e sempre lì dentro siano previste pure misure definite “condivisibili“: “La quota 100 nella Fornero, il reddito di cittadinanza, l’aumento delle pensioni minime” (De Petris). Insomma, no alla flat tax della Lega e il resto può andare.
Potere al Popolo, invece, è su una posizione più aggressiva: “Siamo contro il governo perché rispetta il 3% di deficit dell’Ue e vuole abolire la povertà ma intanto decreta la prigione per i poveri. Contro l’ingiustizia sociale il Def è poco, non troppo”, detta la linea l’ex sindacalista Giorgio Cremaschi. Il profilo twitter di PaP rilancia – contro “i tifosi dello spread e quelli del debito” – un articolo dell’economista Emiliano Brancaccio di qualche giorno fa che bocciava i vari “fronti” elettorali anti-populisti proposti in zona Pd: “Appelli sbagliati. L’antifascismo liberista e deflazionista di Macron e dei suoi epigoni è un ossimoro, è una contraddizione in termini. È un’ipocrisia politica ed è un fallimento annunciato”.
Scomoda assai la posizione di chi stava nel Pd e tenta di far valere il proprio percorso senza le necessarie precauzioni retoriche. L’ex deputato Alfredo D’Attorre (LeU) s’è dovuto difendere su Twitter: “Sono stato rimproverato per aver parlato di ‘opposizione anti-italiana’. Ma come definire quella parte di opposizione che si ispira a Macron, il quale innalza il deficit al 2,8%, ma in Italia chiede che il deficit venga ridotto sempre di più? È assurdo polemizzare con il governo perché trasgredisce il Fiscal Compact”.
Ancor più netto il suo amico Stefano Fassina: “Si apre una inedita partita. Finalmente, ritorna il primato della politica sull’economia, condizione necessaria, ahimé non sufficiente dati i rapporti di forza interni e esterni, al primato della sovranità costituzionale. La cosiddetta sinistra da che parte sta? Continua ad affidarsi al Generale Spread per miopi illusioni elettorali?”. Una strada sottile, forse troppo.