sabato 29 settembre 2018

Il Fatto 29.9.18
“Migranti schiavi delle milizie in guerra”
Tripoli - Le Ong: “Gruppi armati usano i profughi dei centri di detenzione abbandonati dalle autorità”
di Pierfrancesco Curzi


Migranti usati come manovalanza dalle milizie durante la guerriglia per le strade di Tripoli. Nuove storie di schiavismo, di coercizione e di vergogna dalla Libia. La denuncia arriva dai diretti interessati e da quanto raccolto dalle organizzazioni umanitarie. Un gruppo di profughi del Corno d’Africa, almeno 200 persone tra cui una sessantina di bambini e minori, recluso nel centro denominato ‘Semaforo 70’, sopravvive in condizioni drammatiche. Siamo a Faruja, periferia sud della città, epicentro di combattimenti tra gruppi armati che in un mese (26 agosto-26 settembre) hanno fatto 117 morti ufficiali e circa 600 feriti. Uno dei 25 campi dove le organizzazioni internazionali entrano in supporto di profughi, Unhcr in particolare. O meglio entravano, visto che ciò, per motivi di sicurezza, non accade da quasi due mesi. Una fonte confidenziale a Tripoli ha raccolto il racconto di uno dei migranti: “Il centro è sotto il controllo di una milizia. Molti di noi vengono presi di forza, portati nella zona degli scontri e usati per trasportare armi e munizioni in prima linea, col rischio di essere uccisi. Altri vengono sfruttati per fare le pulizie negli uffici e nelle caserme dei capi, anche se stremati e in pessime condizioni di salute. Siamo gli schiavi moderni in mezzo ad una guerra civile. I miliziani ci vedono come merce di scambio e la vita nel centro è un inferno. Non abbiamo ricevuto acqua e cibo per quasi una settimana. Assetati, alcuni hanno bevuto acqua da pozzi e rubinetti insicuri e soffrono di violenti attacchi di dissenteria. La gente sta male e non viene curata, siamo allo stremo”.
Una situazione analoga è stata registrata in un altro centro lontano dal cuore della capitale, a Qasr Ben Gashir. L’allarme è stato raccolto dall’Unhcr, dall’Oim (l’agenzia Onu per i migranti) e da altre organizzazioni operative sul territorio. L’unica speranza per migliaia di profughi rinchiusi e veri e propri lager. A causa dell’instabilità. Tripoli è diventato un campo di battaglia e per il settore umanitario è difficile raggiungere i quartieri in conflitto. Ci sono strutture dove Unhcr e Oim non riescono a operare da mesi, difficile dunque capire la portata della tragedia, lontana dai radar della cooperazione.
Il cessate-il-fuoco siglato mercoledì sembra reggere, per ora, e ciò ha permesso quanto meno di tappare alcune falle. Come garantire cibo e accesso ad acqua potabile, coperte, prodotti per l’igiene e cure mediche di primo soccorso. Tra i migranti numerosi i casi di tubercolosi, scabbia e altre malattie trasmissibili, ma anche infezioni purulente, ferite non trattate e ustioni gravi. Tanti avrebbero bisogno di trattamenti sanitari e interventi chirurgici.
Un pezzo di Libia di cui il ministro degli Esteri, Enzo Moavero Milanesi, dovrà tener conto in Senato quando martedì riferirà a proposito di ciò che sta accadendo sull’altra sponda del Mediterraneo. Intanto l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha diffuso le statistiche esatte sulle vittime degli scontri dell’ultimo mese: 108 maschi e 9 femmine, 8 minorenni e 3 bambini sotto i 5 anni. In tutto 79 giovani tra i 18 e i 35 anni. I morti libici sono 106, 11 non libici: tra loro 1 turco, 2 del Niger, 1 siriano, 1 egiziano, 2 ivoriani, 1 burkinabè, 1 nigeriano; 2 sono rimasti sconosciuti.