Il Fatto 24.9.18
Castelluccio di Norcia
Le Pietre e il Popolo
Il Deltaplano ferisce l’Umbria
di Tommaso Montanari
Chi
ti dice “non c’è alternativa”, di solito ti sta fregando. Specialmente
se a non avere alternativa è il consumo di suolo, il cemento, la
speculazione. E specialmente se te lo dice la politica, che da gran
tempo e da ogni parte ha rinunciato ad una qualunque pedagogia civile, o
anche solo a non assecondare i peggiori sommovimenti della pancia dei
sudditi.
È quel che succede a Castelluccio di Norcia, in Umbria:
dove, lunedì scorso, la Regione Umbria e il Comune hanno inaugurato il
“Deltaplano”.
Cos’è, il Deltaplano?
Il sindaco di Norcia,
Nicola Alemanno, ha minacciato di querelare chi lo ha definito “centro
commerciale”: così lo chiameremo, come fanno lui stesso e la presidente
della Regione, Catiuscia Marini, una “struttura con attività ricettive e
commerciali” a forma, appunto, di deltaplano.
Una struttura di
11.000 metri quadrati, di cui 6.500 al coperto progettata
dall’architetto Francesco Cellini (definito sobriamente archistar dalle
autorità locali), per ospitare venti esercizi commerciali, tutti dotati
di “veduta panoramica”. Costo dichiarato: 1.263.318,52 euro, a carico di
Regione Umbria e Protezione civile – mentre la Nestlé, sponsor
annunciato, si è poi defilata.
Ebbene, qual è il problema? Almeno due sono i peccati mortali: d’opera e d’omissione.
L’opera.
Siamo in un Parco naturale, quello dei Monti Sibillini. E siamo sui
Piani di Castelluccio, un altopiano di bellezza sconvolgente, uno dei
paesaggi più indimenticabili che io abbia mai visto. Un paesaggio che a
giugno, con la superba fiorita, si veste di un manto cromatico senza
eguali, che sembra gareggiare con i Monet, o meglio con i Pissarro, più
visionari. Ora, in questo angolo di paradiso nulla si sarebbe mai potuto
costruire senza il ruolo determinante del Grande Tentatore: il
maledetto terremoto, che alle 7.40 del 30 ottobre 2016 ha raso al suolo
Castelluccio. E che ora, in nome della gestione dell’emergenza, ha
permesso di aggirare vincoli, leggi e procedure consentendo di sbancare
suolo vergine e di tombarlo con una gettata di cemento che serve a
sostenere la struttura sedicente ecologica.
L’ipocrisia formale
che ha permesso tutto questo è lo statuto di “temporaneità” dell’opera.
Ma è un’illusione ottica, o peggio un inganno. Il perché lo ha spiegato
benissimo l’urbanista e territorialista Laura Colini sul portale
berlinese Tesserae: “La clausola che permette la realizzabilità del
progetto è la temporaneità. Nell’urbanistica italiana la ‘temporaneità’
ha tempi paurosamente elastici specie quando non c’è un piano e una
volontà politica che ne determini la sua precisa durata. Nel caso del
Deltaplano, la temporaneità andrebbe pianificata fissando esattamente la
vita della costruzione a Castelluccio (non i generici 15-20 anni), e un
definendo un piano per lo smaltimento da un punto di vista logistico,
funzionale ed economico. Una volta costruito, il Deltaplano è lì e ci
starà a lungo: è tecnicamente smontabile ma non temporaneo. Non ci
saranno probabilmente fondi per smantellarlo, non si saprà dove
metterlo, e si farà a gara per decidere cosa farne. Forse tra 50 anni
quando le strutture portanti, tanto all’avanguardia oggi saranno
obsolete, allora si penserà alla dismissione, ma intanto il Pian Grande
sarà sempre più urbanizzato, pezzo dopo pezzo, dalle strade, dalle auto e
dalla turistizzazione insostenibile che occuperà anche questo pezzo di
paradiso”. Ecco il problema: non solo l’esistenza di questo brutto (si
può dire?) edificio in un luogo che doveva il suo fascino anche
all’assenza di simili ombre, ma soprattutto il modello di sviluppo
insostenibile che il Deltaplano si porta dietro, e che innescherà una
urbanizzazione e una commercializzazione del luogo, queste sì,
sicuramente definitive.
Accanto all’opera, l’omissione. Mentre la
presidente dell’Umbria, Catiuscia Marini, inaugura il
non-centro-commerciale, solo il 7% dei cantieri per ricostruire le
abitazioni è partito: negozi sì, case no. E non parliamo del patrimonio
culturale diroccato, su cui ancora piove e nevica. I soldi spesi nel
Deltaplano non sono stati utilizzati per ritirare su le case antiche di
Castelluccio, magari usando le tecniche originarie. Né si è pensato
(ecco l’alternativa possibile: che c’è sempre) di destinare agli
esercizi commerciali oggi nel Deltaplano l’area orientale del paese,
quella delle vecchie stalle mai recuperate: come nel luglio scorso
esortava a fare, per esempio, l’architetto Carlo Brunelli, in un
intervento coraggioso e lucido fin dal titolo: “Castelluccio merita
qualcosa in più della solita, squallida speculazione”.
E gli
abitanti di Castelluccio, che pensano? La maggioranza apprezza il
Deltaplano, e applaude il sindaco e la presidente della Regione.
Come
non capirli? Abbandonati da tutto e da tutti già ben prima del
terremoto, anime morte di quelle aree interne di cui davvero nessuno,
sulle coste e nelle grandi città, sembra conservare memoria. Quale
politica ha detto loro che, sì, un’alternativa è possibile? Che non sono
obbligati a scegliere tra lo stravolgimento del loro territorio e della
loro storia e una lenta morte per fame e oblio collettivo? Quale
pedagogia civile, ambientale, economica è stata esercitata da coloro che
avevano e avrebbero i mezzi culturali e decisionali? Quale reale
partecipazione è stata attuata?
Nulla di tutto questo è avvenuto, e
una classe dirigente e politica drammaticamente non all’altezza ha
colto l’“occasione” del terremoto per dare l’illusione di aver
finalmente fatto qualcosa per città ed aree che aveva colpevolmente
dimenticato.
È sempre così: come se l’ostacolo al governo del
territorio fossero le regole, e non le spinte speculative e
l’inadeguatezza di chi, incapace di gestire l’ordinario, si getta a
corpo morto sul treno – anzi, sul deltaplano – dell’emergenza.