sabato 22 settembre 2018

Il Fatto 22.9.18
La scappatella dell’evoluzione: sesso tra i Sapiens e i Neanderthal
Giorgio Manzi racconta l’incontro tra due specie differenti nel tardo Pleistocene: “Tutte le popolazioni, tranne quelle africane, ne portano ancora oggi le tracce”
La scappatella dell’evoluzione: sesso tra i Sapiens e i Neanderthal
di Giorgio Manzi


Ormai è sulla bocca di tutti: qualche scappatella c’è stata. Anzi, più di qualcuna. Parliamo di eventi preistorici che iniziamo ormai a conoscere talmente bene da poterli quasi considerare “storia”. Ci riferiamo a incontri sessuali di un tempo remoto, a incroci genetici e ibridi fertili, dei quali molti di noi portano ancora le tracce nei propri cromosomi. Ma vediamo meglio. Cominciamo col dire che nel tardo Pleistocene, i Neanderthal – cioè le popolazioni della specie estinta Homo neanderthalensis – occupavano tutta l’Europa e parte dell’Asia. In quello stesso periodo, la nostra specie (Homo sapiens) era comparsa in Africa e si andava diffondendo anche fuori da quel continente. Quando le due specie entrarono in competizione ecologica per gli stessi spazi, in Asia occidentale e poi in Europa, i Neanderthal erano già duramente colpiti dagli effetti dell’ultima glaciazione e accusarono la presenza dei nuovi venuti.
Alla fine, intorno a 40 mila anni fa, i Neanderthal si estinsero.
È una storia di grande fascino. Ci sarei voluto essere (come osservatore impalpabile, sia chiaro) quando le due specie umane, differenti ma strettamente imparentate, si confrontarono per decine di millenni su territori a est e a nord del Mediterraneo. Nel corso della storia è successo innumerevoli volte che popolazioni di diverse etnia, regime economico e risorse tecnologiche abbiano interagito, spesso anche brutalmente, ma si è sempre trattato di popolazioni della stessa specie. Là invece, nel tardo Pleistocene, in un orizzonte geografico che dal Sinai si apre a ventaglio fra lo stretto di Gibilterra e la Mongolia, a incontrarsi e competere per le risorse furono popolazioni di specie differenti. Ce lo dice la morfologia dei loro resti scheletrici e ce lo conferma il loro Dna, che da una ventina d’anni abbiamo imparato a estrarre anche dai fossili.
Sappiamo anche che già verso 100 mila anni fa, gruppi di esseri umani anatomicamente moderni ormai traboccavano fuori dall’Africa. I loro scheletri vengono dal territorio di Israele, proprio in corrispondenza dell’unica via di terra dall’Africa verso l’Eurasia. Da sempre, quel territorio rappresenta un crocevia di migrazioni e diaspore umane. Lì ci deve essere stato un prolungato periodo di coesistenza con le popolazioni levantine dei Neanderthal. Fu quasi una “fase di studio”; come fosse il primo tempo di una partita di calcio fra due squadre forti e blasonate, che saggiano la forza dell’avversario. Fu proprio in questo lasso di tempo e proprio lì in Vicino Oriente che le due specie si incrociarono geneticamente. I dati a nostra disposizione suggeriscono che l’ibridazione sia avvenuta solo in quelle determinate circostanze, visto che tutte le popolazioni umane dell’intero pianeta, tranne quelle africane, ne portano ancora oggi le tracce e queste non sono maggiori nelle altre aree dove i Neanderthal si confrontarono a lungo con i nostri antenati.
Africani a parte, siamo tutti figli di quei gruppi umani di origine africana che nel tardo Pleistocene passarono per la medesima strettoia geografica. Se poi si analizza accuratamente il nostro Dna si scopre che quello dei Neanderthal con cui ci siamo incrociati ha contribuito con bassissime percentuali al genoma degli esseri umani attuali. I geni che sono passati da una specie all’altra sembra che all’inizio siano stati molto più numerosi, ma una gran parte si è diluita nelle nostre popolazioni, mentre ci espandevamo sempre più e il Dna esogeno contenuto nelle nostre cellule si andava per così dire polverizzando.
Va inoltre sottolineato che l’ibridazione avvenne tra esseri umani che appartenevano a specie distinte, anche se affini. Neanderthal e uomini moderni provenivano da contesti genetici ai limiti della compatibilità biologica, tanto che i discendenti diretti delle loro unioni avrebbero avuto una ridotta fertilità, particolarmente gli ibridi maschi. Questo lo deduciamo dal cromosoma X di Homo Sapiens, che porta una modesta dose di Dna Neanderthal (un quinto circa) rispetto ad altre parti del genoma. Sarebbe stato “ripulito” a ogni generazione proprio a scapito della frazione maschile.
Tutto ciò ci ricorda le storie raccontate da Björn Kurtén, nel suo romanzo preistorico del 1978, La danza della tigre, dove immaginò ibridi che erano per certi aspetti più vigorosi, ma almeno parzialmente sterili. Fu visionario, anzi preveggente, visto che la paleogenetica ha iniziato solo diversi decenni dopo a scoprire le tracce fossili di quelle scappatelle. Da rileggere.