sabato 22 settembre 2018

Il Fatto 22.9.18
Reddito solo agli italiani? Si rischia l’incostituzionalità
di Virginia Della Sala

Mercoledì, in piena trattativa sulla manovra, il vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, ha provocato il Movimento 5 Stelle sul Reddito di cittadinanza. “Sono sicuro che gli amici Cinquestelle stanno studiando una formula intelligente che lo limiti ai cittadini italiani”, aveva detto. Ieri, il vicepremier Di Maio ha replicato, in mattinata e poi la sera da Pechino: “Stiamo lavorando sulla platea”; “con i flussi migratori è logico che la devi restringere ai cittadini italiani”; “pensare di individuare una platea straniera significa che non puoi prevedere la spesa”. Il punto era già nel contratto di governo: “Uno strumento di sostegno al reddito per i cittadini italiani che versano in condizioni di bisogno”. Ma è davvero possibile riservare questa misura ai soli cittadini italiani?
Gli europei. “L’esclusione dei cittadini europei residenti sarebbe di sicuro in contrasto con il diritto dell’Ue – spiega Ennio Triggiani, professore ordinario di Diritto dell’Unione europea nel Dipartimento di Scienze Politiche dell’Università di Bari Aldo Moro – sia in base a norme di carattere generale, dalla Carta dei diritti fondamentali al trattato sul funzionamento dell’Unione, sia in base a tutta una serie di direttive”. La non discriminazione per nazionalità è uno dei principi fondamentali dell’Ue. “Si parla di reddito di cittadinanza ma esiste la cittadinanza dell’Ue, con i diritti e i doveri che ne derivano”. Nel 2012, la provincia di Bolzano, nella concessione degli alloggi popolari, aveva esercitato una discriminazione basata sulla nazionalità e “l’Italia fu condannata dalla Corte di Giustizia europea”. Si possono prevedere vincoli stringenti, oltre alla residenza? “La Corte di Giustizia Ue si è quasi sempre espressa contro”. E infatti Il testo originario del disegno di legge sul reddito di cittadinanza presentato in Senato prevede che ne hanno diritto “soggetti in possesso della cittadinanza italiana o di Paesi dell’Ue” e “soggetti di Paesi che hanno sottoscritto convenzioni bilaterali di sicurezza sociale”.
Extra Ue. Il reddito non si può negare ai familiari extra-Ue di cittadini europei, né ai rifugiati e apolidi. “L’obiettivo del loro status non è la residenza, ma l’integrazione piena”, spiega il docente. Vale lo stesso per i permessi di soggiorno di lunga durata. “Potrebbero esserci esclusioni che riguardano stranieri extra Ue che non abbiano un permesso di soggiorno consolidato, ma si tratterebbe di eccezioni”. Al trattamento dei cittadini Extra-Ue sono dedicate specifiche direttive dell’Ue che tutelano i titolari di permesso di soggiorno di lungo periodo, di permesso unico di lavoro (da rinnovare ogni due anni), di protezione internazionale, del permesso per attesa occupazione (che dura un anno) e i familiari di cittadini dell’Ue. A spiegarlo è Marta Lavanna, avvocato dell’Associazione per gli Studi Giuridici dell’immigrazione: “La Corte costituzionale ha inoltre già fatto notare – con sentenze per l’assegno sociale o gli assegni per le disabilità – che i requisiti per accedere alle prestazioni contro la povertà, che quindi richiedono un reddito inferiore a una certa cifra, contrastano spesso con i requisiti per avere il permesso di lunga durata (un reddito superiore a una certa soglia). Con la conseguenza che raramente chi ha il permesso di soggiorno riesce ad accedere ai sussidi per la lotta alla povertà”.
Il lavoro. Vincenzo Martino è invece il vicepresidente di Agi, l’associazione degli Avvocati giuslavoristi italiani. “Il rischio di incostituzionalità è alto. In base ai princìpi costituzionali, e in particolare all’articolo 3, non si giustifica un trattamento differenziato basato sulla nazionalità. Tanto più che il provvedimento, rispetto alle ipotesi pre-elettorali’, per necessità di copertura finanziaria sarà ridimensionato a sussidio temporaneo finalizzato alla riqualificazione e al reinserimento lavorativo”. Un po’ come l’attuale Naspi, l’indennità di disoccupazione limitata ai lavoratori dipendenti. “È difficile immaginare, a parità di situazione, che un extracomunitario con regolare permesso di soggiorno, che abbia svolto attività lavorative autonome o dipendenti, versando regolarmente i contributi (che per tutti gli extracomunitari, ricordiamolo, superano gli 8 miliardi di euro l’anno), sia poi escluso da una prestazione previdenziale o assistenziale riconosciuta solo agli italiani”. La Corte costituzionale ha già dichiarato illegittime discriminazioni in qualche misura simili, per esempio in tema di accesso ai servizi pubblici o alle graduatorie di assegnazione abitativa o per ottenere agevolazioni tariffarie. “Direi che solo l’esclusione degli extracomunitari irregolari appare giustificata e idonea a superare eventuali giudizi di legittimità costituzionale. Naturalmente per un giudizio preciso bisogna attendere di leggere la norma”.
Le cause. Nei mesi scorsi, ad esempio, la Corte di Giustizia dell’Unione europea è stata chiamata a dirimere una causa tra Inps e una donna straniera residente a Genova ma titolare di un permesso di lavoro superiore a sei mesi. Le avevano respinto la richiesta dell’assegno per i nuclei familiari numerosi. In primo grado, racconta l’Huffington Post, il Tribunale aveva dato ragione all’Istituto. Il giudice d’appello aveva poi ritenuto necessario chiedere un parere alla Corte Ue per una verifica di aderenza alle regole europee. La decisione: “I cittadini dei Paesi non Ue ammessi in uno Stato membro a fini lavorativi, a norma del diritto dell’Unione e del diritto nazionale – hanno scritto i magistrati – devono beneficiare della parità di trattamento rispetto ai cittadini di detto Stato”.