Il Fatto 22.9.18
Niente più bambini stranieri a scuola
La
stretta del sindaco leghista - Per bus scolastici e mense bisogna
consegnare certificati dei Paesi d’origine impossibili da reperire,
altrimenti si paga la retta più alta. Così 200 figli di stranieri ma
nati in Italia si portano i panini da casa. E vengono, di fatto, esclusi
di Davide Milosa
La
prima campanella della mensa suona un quarto d’ora dopo mezzogiorno.
Via Ettore Archinti, complesso scolastico Cabrini. Elementari e materna,
qui a Lodi, a metà strada tra il centro e la città bassa. Le prime
classi iniziano a scendere. Ragazzini ordinati dietro le maestre. La
mensa è nel sotterraneo. Ambiente così e così, finestre a bocca di lupo
lungo le pareti. A sinistra dell’ingresso della scuola, c’è una sala che
nulla ha a che vedere con la mensa. Più che una sala, un’aula docenti,
anche se prima era un magazzino. Le tapparelle sono abbassate, qualche
disegno, appiccicato sugli armadi di metallo. In mezzo, due gruppi di
banchi e tredici sedie, con altrettante tovagliette: la signora Anna ha
apparecchiato da poco. Seduti ci sono 13 bambini, quasi tutti originari
dell’Egitto, che da pochi minuti si sono messi a mangiare. Panini
perlopiù, un po’ di verdura, qualche frutto: tutto cibo portato da casa.
Sono 13 adesso. Nel secondo turno, ne arriveranno altri otto, di
bambini.
Da due giorni è iniziata la mensa a scuola. Ovunque in
Italia. E anche a Lodi. Ma qui le cose vanno diversamente. Almeno per
questi 21 bambini. La mensa, quella tradizionale, per loro è blindata.
Con tanto di guardiania a bloccare l’accesso. Vietato entrare.
Questi
bambini sono tutti nati in Italia e tutti figli di immigrati. Sono
figli di lavoratori, nel nostro Paese da molto tempo, alcuni da oltre
vent’anni. Famiglie numerose, tre figli, a volte anche quattro. E uno
stipendio che a metterlo insieme ora dopo ora, giorno dopo giorno, non
supera gli 800 euro al mese, quando va bene. Devono pagare la retta più
alta per la mensa e lo scuolabus, così dispone il Comune di Lodi. E se i
loro genitori non ce la fanno, come nella maggioranza dei casi, la
mensa salta. Per quasi 200 bambini in tutta la città.
Ma se
guadagnano 800 euroa malapena al mese, come tante famiglie di italiani,
perché non pagano tariffe agevolate? La risposta, tanto semplice quanto
inquietante, sta in piazza Broletto, sede del Comune. Ai piani alti. Su
su fino alla poltrona del sindaco. Casacca leghista da sempre, anche se è
nel 2010 che Sara Casanova entra nel partito guidato da Matteo Salvini.
Prima un po’ di gavetta, sempre a Lodi, poi nel 2013 il suo ingresso in
Comune. Sarà eletta primo cittadino nel giugno del 2017. Qualche
settimana dopo, firma una delibera del consiglio comunale che modifica
una serie di articoli del “vigente regolamento per l’accesso alle
prestazioni sociali agevolate”. Fuori dai tecnicismi della pubblica
amministrazione, e nella sostanza, si chiede agli stranieri, quelli non
provenienti da Paesi non Ue e quindi extracomunitari, di portare, in
aggiunta alla dichiarazione del reddito, anche le certificazioni di non
possesso di case, conti correnti e auto nel loro Paese di origine.
Documenti da recuperare in originale e per i quali non vale
l’autocertificazione (pratica che invece resta in vigore per i cittadini
italiani).
Tutto passa senza tanto clamore. L’anno scolastico è
in corso, se ne riparlerà a settembre dell’anno successivo. E infatti
oggi se ne riparla, e non poco. Il caso esplode. Qualcuno, sottovoce,
parla di laboratorio Lodi. Fin da subito si comprende che dietro alla
guerra di carte bollate, si gioca una partita politica tutta leghista e
con un obiettivo chiaro: cacciare dalla scuola gli stranieri. E che la
road map sia questa lo si comprende dalle carte e dagli obblighi: i
documenti richiesti, infatti, sono da cercare al catasto dei vari Paesi,
operazione quasi impossibile, costosa e da rifare ogni anno. In più non
si chiede di certificare l’assenza di proprietà in una singola città,
ma in tutto il territorio dello Stato di origine. Alla data del 7
settembre scorso, per il solo servizio mensa sono state presentate in
Comune 132 domande: di queste 3, con documentazione ritenuta completa o
ancora da valutare; 129 sono state invece rifiutate. Se si considera
anche il servizio scuolabus, le domande salgono a 255. La delibera
prevede una deroga solo per quattro Paesi per cui si ritiene impossibile
avere accesso a tali documenti: Afghanistan, Libia, Siria, Yemen. Per
definire questi Stati, è stato interpellato il ministero degli Esteri,
che non ha risposto. Così il criterio scelto dal sindaco si basa su una
lista di Paesi a rischio, stilata dalla società londinese Ihs Markit, ma
sulla base di questioni relative agli scambi commerciali che non si
capisce cosa centrino, come hanno sottolineato le opposizioni.
Niente
documenti, niente mensa, insomma. “Chi vuole la tariffa agevolata per
le prestazioni legate alla scuola deve portare la documentazione
richiesta”, minimizza il sindaco. “Come deve fare chiunque. Loro, a
maggior ragione, se vogliono integrarsi, qualche sforzo dovranno pur
farlo, no?”. E intanto incassa la fiducia del governatore lombardo
Attilio Fontana e dell’assessore regionale al Territorio, Pietro Foroni.
Ma non pare il classico adagio leghista, “Prima gli Italiani”. Qui
siamo al niente più bimbi stranieri a scuola, perché se la delibera non
dovesse cambiare, il risultato è certo. E non è cosa da poco, fa notare
un dirigente scolastico di Lodi che chiede l’anonimato. “Noi abbiamo il
tempo pieno alle elementari, e la mensa è parte integrante del percorso
didattico: è un obbligo oltreché un diritto”. E così Lodi, dopo la
bufera giudiziaria sui comitati d’affari che ha portato a processo l’ex
sindaco Pd Simone Uggetti, ora si ritrova agli onori delle cronache come
città razzista e poco incline all’integrazione.
“L’anno scorso
pagavo 1,20 euro al giorno per la mensa, ora dovrei pagarne oltre sei”.
Saber viene dall’Egitto, è in Italia dal 1999. “Fino al 2013 ho sempre
lavorato e ho sempre pagato le tasse qui, non certo in Egitto. Oggi vivo
con un contratto di 16 ore settimanali, circa 800 euro al mese, finchè
dura”. In casa, la moglie e tre bambini. Per ognuno, c’è la mensa e lo
scuolabus che, con le tariffe più alte, costa 220 euro al mese per il
primo figlio, 110 per il secondo, 95 per il terzo: 425 in totale ogni
mese. Mohammed, di figli, ne ha uno. Attualmente in cassa integrazione, a
volte lavora a Montanaso lombardo. “Anche mia figlia per ora porta il
pasto da casa… non possiamo permetterci diversamente”.
Ma dalla
prossima settimana, forse, niente più schiscetta in tutte le scuole di
Lodi. Non che il pasto da casa verrà vietato in via generale, ma
bisognerà seguire direttive precise imposte dall’Azienda sanitaria
lombarda: “Dovrà anche essere valutata la modalità e il luogo di
conservazione degli alimenti in attesa di essere consumati”, si legge.
Ci vogliono insomma i frigoriferi. E i frigoriferi vanno comprati, e
dunque? Il Provveditore scolastico di Lodi Iuri Coppi giovedì scorso,
durante un incontro con i dirigenti delle varie scuole, ha proposto di
imporre al Comune l’acquisto degli strumenti per la conservazione del
cibo, perché non si può mandare a casa i bambini, soprattutto quelli di
prima elementare, che iniziano ora il loro viaggio scolastico: è il suo
ragionamento.
Le mamme di bimbi stranieri restano pessimiste.
“Così andrà a finire che mio figlio a scuola non ci andrà – inizia
Aisha, mamma egiziana di tre figli – e dovrò andarli a prendere,
portarli a casa, farli mangiare, riportarli in classe”. Il tutto senza
scuolabus, perché pure per quello dovrebbe pagare la retta massima. Le
storie si accavallano una dopo l’altra. Si parla seduti ai tavolini
dell’associazione Al Rahama, in via Borgo Adda. Sono le 10 del mattino.
Oltre ai genitori, ci sono alcuni bambini che oggi a scuola non sono
andati. L’associazione è elemento di raccordo per le famiglie, tante,
almeno 150, che stanno protestando. Sono arrivati fin sotto il Comune,
sabato scorso, in piazza. Breve incontro col sindaco e fumata nera: Sara
Casanova va per la sua strada. Partono così i ricorsi, non al Tar, ma
al Tribunale ordinario di Milano: azione civile contro la
discriminazione, una discriminazione su basa etnica, dicono i legali
dell’Asgi, l’associazione studi giuridici sull’immigrazione, e del Naga.
Si punta il dito proprio sulla legge, applicata in modo erroneo,
secondo Asgi e Naga che stanno raccogliendo i ricorsi. La legge a cui si
fa riferimento è il Decreto della presidenza del Consiglio dei ministri
(Dpcm) del 2013, in relazione alla dichiarazione dell’Indicatore della
situazione economica equivalente-Isee, dove si prevede che
l’autocertificazione valga sia per gli italiani sia per gli stranieri:
“Senza alcuna distinzione”. Lo dimostra anche il caso di Voghera, altra
città lombarda, dove nel 2013 una delibera identica a quella di Lodi era
stata approvata, salvo poi essere modificata proprio in virtù della
nuova disciplina statale in materia di Isee (il Dpcm del 2013) secondo
cui le componenti reddituali – patrimonio all’estero compreso – vengono
assoggettati ad autocertificazione.
I ricorsi a Lodi sono già
partiti, e se il Comune dovesse perdere rischierebbe la bancarotta. Ma
il sindaco prosegue: “La legge italiana non ammette autocertificazioni”.
E il Dpcm del 2013? Chi ha ragione si vedrà. Nel frattempo il Comune ha
già deliberato una cifra importante – circa 10 mila euro – per la
difesa legale. Segno che qualche dubbio ai piani alti di piazza Broletto
esiste.
Nell’attesa di una soluzione, resta il dato: oggi molti
bambini a Lodi vengono discriminati, e rischiano di non andare più a
scuola. Pur essendo nati qui, in Italia. Il Coordinamento uguali doveri,
che riunisce opposizioni e società civile contrari all’iniziativa del
sindaco, chiede alle famiglie comunque di iscriversi nella fascia più
alta. Al denaro ci penserà un conto corrente comune. Il segnale che non
tutta Lodi sta con il sindaco. Come il gruppo di genitori italiani che
ha lanciato una raccolta firme contro la delibera, o gli hacker di
AnonPLus che giovedì mattinata hanno bucato il sito della Provincia
“chiedendo – si legge su Twitter – di prendere provvedimenti verso la
sindaca del comune di Lodi che se la prende con i bambini”. Il primo
cittadino del Carroccio di discriminazione e scelte criticabili pare
intendersene. Oltre al caso mense, a inizio anno ha modificato il
regolamento della Polizia locale allargando il Daspo urbano anche ai
venditori ambulanti di fiori e di accendini. L’8 marzo scorso, per
esempio, per la festa della donna, vigili in borghese hanno sequestrato
200 mazzi di mimose, e comminato multe per 3mila euro. L’intera vicenda è
stata oggetto di conferenza stampa con le mimose esposte sul tavolo
come panetti di cocaina colombiana purissima. Fiori e bambini. Qualcosa
qui a Lodi non pare funzionare.