Il Fatto 21.9.18
Il milite ignoto, il viaggio tra 4 miliardi di lettere
Grande guerra - L’inedito del musicista e scrittote Massimo Bubola oggi a Pordenonelegge
di Massimo Bubola
“Ti
regalerò un bosco di pioppi sul fiume Adige. Ti donerò le mie trecce
piene di sogni. Ti offrirò un letto di piume sotto i meli. Ti darò una
boccetta di lacrime mattutine e una di rosolio per la sera. Questo è il
maglione caldo di mio fratello Genesio che ti salvi dal freddo del
marmo. Ti cedo questa cartolina di mio marito caduto che mi ha disegnato
il castello di Duino. Cederò ogni anno metà del mio vino, perché bevano
tutti al tuo ricordo. Ti lascio il medaglione con la mia pallida
bambina scomparita nel frumento. Ti dedicherò la prossima città che
fonderò in Paraguay”.
Queste erano una piccola parte delle lettere
e degli oggetti che furono gettati su uno dei carri vuoti del treno che
trasportava la bara del milite ignoto ch’era partito il mattino del 29
di ottobre del 1921 dalla stazione di Aquileia e che sarebbe arrivato a
Roma la sera del primo novembre. All’arrivo occorsero ben venticinque
camion e una trentina di trattori d’artiglieria per trasportar i fiori e
gli oggetti che vi eran stati deposti.
Rivedendo quel treno che a
passo d’uomo attraversava le campagne e le colline del Friuli, del
Veneto, dell’Emilia, della Toscana e del Lazio e che raccolse intorno a
sé otto milioni di persone che andarono a piedi a salutarlo, ci appare
un’Italia contadina, profondamente mortificata e scioccata dalla più
dura guerra che avesse mai visto, ma unita sul quel ragazzo senza nome.
Un paese ancora ferito, ma avvolto in una lunga e lacera coperta di
Pietà per quel soldato che rappresentava per ognuno il padre, il marito,
il figlio, il fratello che avevano perduto.
Il viaggio di quel
treno correva su un affresco di Misericordia tra la commossa
partecipazione di una nazione che s’era formata da poco e da poco
cominciava ad avere un unico cuore ed un unico sentire. La Grande Guerra
era finita da tre anni, ma quell’incantato fiume di parole creato da
quattro miliardi di lettere scritte durante il conflitto, rappresentava
il primo vero epos italiano: uno sconfinato e toccante documento di
racconto collettivo.
Un paese come il nostro ancor oggi così
carente di un’epica condivisa, dove anche gli eroi del Risorgimento sono
confutati e discussi, l’invenzione del Milite Ignoto ed il suo
leggendario viaggio dalla Basilica di Aquileia all’Altare della Patria
rappresenta invece e finalmente una letteratura popolare nuova e
partecipe La grande pianura che andava dall’Isonzo al Po, era
attraversata e avviluppata in chilometri e chilometri di lettere, con
inchiostro azzurro e color sangue, da stagni di lacrime e maledizioni
dove volava come una libellula la una giovane Dea Speranza che cambiava
il colore degli occhi e dei sogni al nostro avventurato paese, che come
una sposa aveva iniziato a riconoscersi nel suo amato prima ancora di
conoscerlo. Aveva iniziato a scriverlo prima che a leggerlo. Ad amarlo
prima d’averlo incontrato. Lungimiranze sentimentali dovute alle
vertigini della povertà e del disastro incombente che ci avevano
disperso a lungo per poi unirci su un giovine martire sconosciuto.
Quello
che appariva infine dopo il trionfante strazio di quella Via Crucis su
rotaie era una nazione riconciliata dalla morte del suo figlio ultimo e
dimenticato, diventato alfine l’ultimo figlio amatissimo.
Dobbiamo
impegnarci quindi a rappresentare questa tragedia e a rinnovarne la
memoria, che non è solo storia e dramma, ma è soprattutto poesia e
racconto rapsodico, musica da cantare e versi di canzoni semplicemente
immortali.
Questo è doveroso da parte nostra verso le nuove
generazioni per ridare loro una mappa a colori di com’erano i sentimenti
di un secolo fa, così diversi da adesso: l’amore coniugale, la
devozione filiale, lo spirito del sacrificio, la parola data, la
indiscussa lealtà ed il rispetto per le persone e le cose desiderate e
necessarie, sudate e guadagnate.
Il coraggio, dicono, salta sempre
una generazione ed è proprio per questo che ogni generazione deve
tenere a memoria il coraggio delle precedenti ed anche il semplice
ricordarlo aiuta chi questo coraggio non ha avuto e non se lo può
donare.
Eschilo sulla sua tomba fece scrivere solo e soltanto che
aveva combattuto a Maratona, nonostante i sui innumerevoli meriti
letterari. Quella guerra contro i Persiani e quella battaglia dove perse
un fratello e dimostrò il suo giovane coraggio, era tutto ciò che
voleva che di lui fosse ricordato e questo fu il suo ultimo regalo per
tutti noi.