giovedì 20 settembre 2018

Il Fatto 20.9.18
“Mamme e bambini mai più in carcere”
Il premio Campiello Il precedente romanzo ispirato da Rebibbia
di Maddalena Oliva


Con Le assaggiatrici, Rosella Postorino ha vinto l’ultimo Premio Campiello. Il suo precedente romanzo, Il corpo docile (Einaudi, 2013), nasceva dall’esperienza diretta nel carcere femminile di Rebibbia, con le mamme detenute e con chi, figlio, “vive dietro le sbarre come se pagasse una colpa sua”.
Che tipo di esperienza è stata?
Con l’associazione ‘A Roma, Insieme-Leda Colombini’, per due anni, da volontaria, ho trascorso giornate intere sui pulmini messi a disposizione dal comune per far conoscere a quei bambini, rinchiusi assieme alle loro madri, il mondo, la normalità – a loro ignota – di un parco giochi, della lingua ruvida di un cane che ti lecca, delle onde del mare. Di un Natale, di una Pasqua o di una festa di compleanno. I primi 1000 giorni di vita di un essere umano sono i più importanti per determinare quello che sarà il suo sviluppo psicofisico, e lo psicologo Gianni Biondi, che ha fatto una ricerca sui bambini dietro le sbarre, ha parlato di una vera e propria ‘sindrome da prigionia’: la dentizione è rallentata, così come lo sviluppo del linguaggio e della capacità di camminare, la socialità e il senso di autonomia. I bambini che ho incontrato uscivano dal carcere spesso vestiti troppo leggeri, perché le madri non avevano idea del clima esterno; quelli ‘nuovi’ si lamentavano chiedendo ripetutamente della mamma, con cui erano abituati a vivere in simbiosi, salvo poi, una volta tornati in carcere da lei, la sera, piangere disperati perché le lunghe ore d’aria erano terminate. Chiamavano ogni stanza ‘cella’, perché conoscevano solo il gergo carcerario. È stata un’esperienza toccante. E cinque anni dopo, di fronte alla tragedia appena accaduta a Rebibbia, mi atterrisce vedere che lo scandalo dei bambini reclusi non sia finito.
Le donne detenute nelle carceri italiane sono 2.402 , delle quali 52 mamme con 62 figli. Che fare?
Bisogna far sì che i bambini restino assieme alle madri, ma fuori dal carcere: garantire la sicurezza mettendo al primo posto il bambino, che è innocente e non può pagare perché sua madre ha sbagliato. La legge prevede misure di detenzione alternative come le case famiglia protette o gli Icam (istituti di custodia attenuata per madri detenute), ma in Italia c’è un solo Icam a Milano, le case famiglia sono poche e per accedervi è necessario non incorrere nella recidiva. Come sempre, da una parte mancano i soldi per costruire le strutture, e in più la legge si rivela lacunosa e dunque inapplicabile per un’autentica tutela del bambino.
E la politica che non riesce a trovare una soluzione alternativa alla carcerazione…
Bisogna affrontare il problema alla radice. Il carcere è il setaccio finale di una società che non sa dare risposte ai suoi elementi più deboli: più il sistema carcerario è affollato, tanto più la società è ingiusta. Tenere in galera un bambino è una forma di violenza. Quanto può essere profondo il senso di inadeguatezza di una madre che fa crescere i suoi figli reclusi? ‘Adesso sono liberi’, ha dichiarato Alice, la donna tedesca dopo il gesto atroce che ha compiuto. E io ho pensato a Michel Foucault che definiva la pena carceraria una ‘morte indiretta’.