Il Fatto 20.9.18
Volterra, che disse no alla “Razza”
Nel
1931 fu uno dei 12 professori che rifiutò di giurare fedeltà al
fascismo, perse la cattedra. L’epitaffio che scrisse per sé fu: “Muoiono
gli imperi, ma i teoremi di Euclide conservano eterna giovinezza”
di Piergiorgio Odifreddi
Le
vie diritte e le strade tortuose sono l’analogo urbanistico delle rette
e delle curve matematiche, così come le piazze e i parchi lo sono dei
piani e delle superfici. Sarebbe dunque naturale dedicare almeno alcuni
di questi luoghi geometrici delle città ai grandi matematici del Paese,
mentre invece
sono in genere gli statisti e i politici, o al
massimo gli scrittori e gli artisti, a venire in mente ai sindaci e ai
consiglieri comunali che si sbizzarriscono nella scelta dei toponimi
urbani. Poiché le eccezioni si contano sulla punta delle dita, è
benemerita una recente iniziativa di Vittorio Sgarbi, che nella sua
azione di ristrutturazione globale dell’odonomastica locale del Comune
di Sutri, del quale è sindaco, non si è dimenticato degli esponenti
della cultura scientifica del nostro Paese e del nostro passato. Anzi,
ha addirittura scelto il nome di un grande matematico italiano del 900
per inaugurare una serie di battesimi di vie e piazze cittadine,
intitolandogli un largo. Si tratta di Vito Volterra, figura emblematica
dello scorso secolo non soltanto per la sua ricerca matematica, ma anche
per la sua attività culturale e il suo impegno politico. Per accennare
brevemente alla prima, Volterra dimostrò fin da bambino di avere una
marcia in più, calcolando a 13 anni la traiettoria di una navicella
spaziale soggetta ai campi gravitazionali della Terra e della Luna, dopo
aver letto il romanzo Dalla Terra alla Luna di Giulio Verne. Non
stupisce che, dopo simili avvisaglie, nel 1883 il giovane prodigio sia
andato in cattedra a 23 anni, e nel 1905 sia stato nominato senatore a
vita per meriti scientifici a 45. O meglio, stupisce parecchio, se si
osserva come nel giovane Regno d’Italia i laureati di talento venissero
immediatamente promossi in università, e gli uomini di cultura cooptati
al Senato, mentre nella vecchia Repubblica di oggi gli ordinari con meno
di 40 anni sono 20 su 13.000, e i senatori non laureati 99 su 315, di
cui 8 con la sola licenza media: uno è addirittura il presidente della
Commissione Cultura!
Tornando alla cultura vera, uno dei risultati
che hanno fatto passare Volterra alla storia è stato il suo studio sul
rapporto fra prede e predatori. Lo stimolo gli era stato fornito dal
genero Umberto D’Ancona, un biologo marino che aveva notato come, nel
periodo a cavallo della Prima guerra mondiale, la diminuzione della
pesca causata dal conflitto aveva fatto crescere la percentuale dei
pesci predatori. Volterra trovò nel 1926 una famosa equazione, oggi
associata al suo nome, che spiegava come le prede e i predatori
aumentassero e diminuissero periodicamente, in maniera altalenante.
L’abbondanza delle prede favorisce infatti l’aumento dei predatori, ma
l’abbondanza dei predatori favorisce la diminuzione delle prede.
Viceversa, la scarsità dei predatori favorisce l’aumento delle prede, ma
la scarsità delle prede favorisce la diminuzione dei predatori. I dati
ricavati dall’equazione di Volterra risultarono felicemente in accordo
con quelli osservati sul campo: cioè, in mare. Già in precedenza,
durante la guerra, Volterra aveva messo il proprio talento matematico a
disposizione delle applicazioni pratiche: ad esempio, calcolando le
tavole di tiro per i cannoni che vennero installati sui dirigibili, o
suggerendo di sfruttare i dati meteorologici per programmare le
incursioni aeree. Dopo la guerra i vari istituti di ricerca bellica
furono ristrutturati e accorpati, confluendo infine nel 1923 nel Centro
Nazionale delle Ricerche: Volterra ne divenne il primo presidente, e fu
eletto quello stesso anno anche alla presidenza dell’Accademia dei
Lincei. Le due cariche congiunte fecero di lui il capofila del fronte
scientifico, nella feroce battaglia culturale che l’umanesimo sferrò
contro la scienza in quegli anni. Le ostilità erano state aperte dal
dotto, ma ottuso, filosofo idealista Benedetto Croce, che nel 1920
divenne ministro della Pubblica Istruzione. Croce non sapeva e non
capiva nulla della scienza, ma proprio per questo le negava qualunque
valore culturale. Cercò di ostacolare la partecipazione dell’Italia ai
progetti di cooperazione internazionale, e di favorire lo smantellamento
dell’apparato nato dall’industria bellica, ma non poté fare troppi
danni perché l’ultimo governo Giolitti di cui faceva parte ebbe vita
breve. Dopo il futile biennio dei governi Bonomi e Facta, nel 1922
arrivarono al potere Mussolini, e al ministero della Pubblica Istruzione
il filosofo attualista Giovanni Gentile, sodale di Croce. Il nuovo
ministro propose immediatamente una disastrosa riforma dell’istruzione
inferiore e superiore, favorito anche dai pieni poteri che il governo
aveva ricevuto dal re. Si crearono scuole separate, tecniche per
addestrare i lavoratori e classiche per formare i dirigenti, fu imposto
lo studio del latino nelle medie e nei licei, si rese obbligatorio
l’insegnamento della religione e venne ridimensionato quello delle
scienze. Inoltre, si restrinse l’accesso a tutte le facoltà ai soli
liceali classici. I risultati di queste belle pensate sono visibili
ancor oggi, nell’endemia di antiscientismo che porta i cittadini a
credere alle guarigioni e alle apparizioni miracolose, sacre o profane
che siano, ma a dubitare dei vaccini e degli sbarchi sulla Luna. Chissà
quanti dei rumorosi e disperati difensori del liceo classico si rendono
conto di essere dei “giapponesi nella giungla”, rimasti soli a
combattere la scienza sotto le insegne fascio-idealiste di Croce e
ideal-fasciste di Gentile?
Volterra fece il possibile per
contrastare la deriva culturale e politica, ma con poco successo. Nel
1924 il fascismo divenne ufficialmente una dittatura con l’assassinio di
Giovanni Matteotti, e il successivo voto di fiducia al governo
Mussolini: al Senato solo 20 senatori si opposero, e Volterra fu uno di
essi, diventando ufficialmente un oppositore al regime. Nel 1925 Gentile
stilò il Manifesto degli intellettuali fascisti, al quale finalmente
Croce oppose un antimanifesto firmato da 400 intellettuali, tra i quali
Volterra, che fu però solo un tipico esempio del “troppo poco, troppo
tardi”.
Nel 1926 nacque la nuova Accademia d’Italia, che si oppose
all’antica Accademia dei Lincei presieduta da Volterra. Nell’Accademia
fascista non furono mai ammessi gli ebrei, ma entrarono volentieri gli
scienziati fascisti o non antifascisti: da Guglielmo Marconi, suo
presidente e successore di Volterra al Consiglio Nazionale delle
Ricerche, a Enrico Fermi, che vinse nel 1938 il premio Nobel per la
Fisica per la “scoperta” degli inesistenti “esperio” e “ausonio”, così
chiamati in onore di due antiche civiltà italiche.
Nel 1931 il
regime impose ai professori universitari un giuramento di fedeltà:
Volterra fu uno dei 12 su 1250 (un centinaio dei quali ebrei) che
rifiutarono di farlo, e perse la cattedra. La storia si ripeté nel 1934
per le accademie: Volterra fu uno dei 10 che non giurarono, e decadde da
tutte le accademie di cui era membro, compresi i Lincei. Rimase invece
senatore fino alla morte, nel 1940, perché quella che fu paradossalmente
chiamata “discriminazione regia” esentò i senatori ebrei dalle misure
delle leggi razziali del 1938. L’epitaffio che scrisse per sé fu:
“Muoiono gli imperi, ma i teoremi di Euclide conservano eterna
giovinezza”, con buona pace dei fascisti e degli idealisti, antichi e
moderni.